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San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia; sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo; che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli; e tu, o Principe della milizia celeste, con la potenza divina, ricaccia nell'inferno satana e gli altri spiriti maligni i quali errano nel mondo per perdere le anime. AMEN. Clicca su S.Michele A .>>> e vai alla Cappella virtuale Reginamundi.info

lunedì 29 settembre 2014

Gli angeli lottano contro il diavolo e ci difendono....Papa Francesco

ilsismografo/Papa Francesco \ Messa a Santa Marta


Il Papa: Satana presenta le cose come buone, ma vuole distruggere umanità <<<RadioVaticana 


Satana presenta le cose come se fossero buone, ma la sua intenzione è distruggere l'uomo, magari con motivazioni "umanistiche". Gli angeli lottano contro il diavolo e ci difendono. Questo, in sintesi, quanto ha detto il Papa nell'omelia mattutina a Casa Santa Marta, nel giorno in cui la Chiesa celebra la Festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. 
Le letture del giorno ci presentano immagini molto forti: la visione della gloria di Dio raccontata dal profeta Daniele con il Figlio dell’Uomo, Gesù Cristo, davanti al Padre; la lotta dell’arcangelo Michele e i suoi angeli contro “il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo” e “seduce tutta la terra abitata” ma viene sconfitto, come afferma l’Apocalisse; e il Vangelo in cui Gesù  dice a Natanaèle: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”. Papa Francesco parla della “lotta fra il demonio e Dio”:

“Ma questa lotta avviene dopo che Satana cerca di distruggere la donna che sta per partorire il figlio. Satana sempre cerca di distruggere l’uomo: quell’uomo che Daniele vedeva lì, in gloria, e che Gesù diceva a Natanaèle che sarebbe venuto in gloria. Dall’inizio la Bibbia ci parla di questo: di questa seduzione per distruggere, di Satana. Magari per invidia. Noi leggiamo nel Salmo 8: ‘Tu hai fatto l’uomo superiore agli angeli’, e quell’intelligenza tanto grande dell’angelo non poteva portare sulle spalle questa umiliazione, che una creatura inferiore fosse fatta superiore; e cercava di distruggerlo”.
Satana, dunque, cerca di distruggere l’umanità, tutti noi:
“Tanti progetti, tranne i peccati propri, ma tanti, tanti progetti di disumanizzazione dell’uomo, sono opera di lui, semplicemente perché odia l’uomo. E’ astuto: lo dice la prima pagina della Genesi; è astuto. Presenta le cose come se fossero buone. Ma la sua intenzione è la distruzione. E gli angeli ci difendono. Difendono l’uomo e difendono l’Uomo-Dio, l’Uomo superiore, Gesù Cristo che è la perfezione dell’umanità, il più perfetto. Per questo la Chiesa onora gli angeli, perché sono quelli che saranno nella gloria di Dio – sono nella gloria di Dio – perché difendono il gran mistero nascosto di Dio, cioè che il Verbo è venuto in carne”.
“Il compito del popolo di Dio – ha affermato il Papa - è custodire in sé l’uomo: l’uomo Gesù” perché “è l’uomo che dà vita a tutti gli uomini”. Invece, nei suoi progetti di distruzione, Satana inventa “spiegazioni umanistiche che vanno propriamente contro l’uomo, contro l’umanità e contro Dio”:
“La lotta è una realtà quotidiana, nella vita cristiana: nel nostro cuore, nella nostra vita, nella nostra famiglia, nel nostro popolo, nelle nostre chiese … Se non si lotta, saremo sconfitti. Ma il Signore ha dato questo mestiere principalmente agli angeli: di lottare e vincere. E il canto finale dell’Apocalisse, dopo questa lotta, è tanto bello: ‘Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il Regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte’”.
Il Papa, infine, invita a pregare gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele e a “recitare quella preghiera antica ma tanto bella, all’arcangelo Michele, perché continui a lottare per difendere il mistero più grande dell’umanità: che il Verbo si è fatto Uomo, è morto e è risorto. Questo è il nostro tesoro. Che lui continui a lottare per custodirlo”.

venerdì 26 settembre 2014

S. Michele Arcangelo...


San Michele segna gli eletti col sigillo della predestinazione - 26 settembre
I. Considera come S. Michele Arcangelo ama, tal­mente i suoi devoti che ottiene loro la predestina­zione. La Chiesa lo chiama Signifero di salute: - Michael, salutis Signifer - non solamente perchè porta la Croce, segno della nostra Redenzione e sal­vezza, ma anche perchè Egli suggella in maniera invisibile le anime elette, perchè non siano colpite dalla dannazione. Tale lo descrive S. Giovanni nel­l'Apocalisse, quando lo vide scendere dall'Oriente col sigillo di Dio in mano, e gridare ai quattro Angeli che dovevan far danno alla terra ed al mare, di non far alcun male fino a quando non avesse se­gnato i servi di Dio in fronte. Egli segna gli eletti col sigillo della predestinazione. Come l'Anticristo segna i suoi seguaci, così l'Arcangelo Michele segna i predestinati. Prega il S. Arcangelo che imprima anche sulla tua fronte il segno della predestinazione.

II. Considera come S. Michele, essendo più vici­no al trono di Dio, riceve dalla Santissima Trinità le grazie che deve comunicare alle anime elette per conseguire l'eterna predestinazione. Come spiega San Bonaventura, ci mette ostacoli nel male, oppure resistenze ai nostri nemici, ne respinge gli sforzi, ci illumina ed eccita alla penitenza, prega ed ottiene le grazie, rinforza, conferma e conforta nell'eserci­zio delle virtù, rivela i misteri del cielo, infiamma i cuori di celesti desideri, porta le nostre buone o­pere e meriti nel cospetto di Dio, ed introduce gli eletti nel cielo. A S. Michele non manca la potenza di farci vincere il mondo, la carne, il demonio, che sono i tre nemici della nostra anima. Al suo co­mando ubbidisce tutto il creato, come già in cielo Dio volle trionfare su Lucifero per suo mezzo. Se la Chiesa dice che la preghiera di S. Michele conduce gli eletti al Cielo, chi mai l'ha invocato e non si è salvato?
III. Considera, o cristiano, che una delle maggiori angustie che desola il cuore dell'uomo, per quanto giusto egli sia, è appunto il non sapere con cer­tezza di appartenere al numero de' predestinati. Ora, se è certo che vi è un decreto di predestinazione, se è certo che il numero degli eletti è fissato, altret­tanto è incerto per l'uomo se il suo nome sia scritto o no nel libro della vita. Iddio ha riservato a sè una tale conoscenza, e senza una speciale rivelazione non si può sapere con certezza di fede. Per tal motivo si legge nelle vite dei Santi,,per quanto consumati nella virtù ed adorni della più eroica santità, che tremavano a tal pensiero. Tra gli altri segni però che i Teologi danno per una morale certezza della predestinazione, c'è appunto una speciale devozione a San Michele Arcangelo: Egli è l'aiuto delle anime elette. Se dunque tu brami l'eterna salvezza, ama e venera con speciale affetto il celeste Serafino, procura di onorarLo con la santità di costumi: sfor­zati di venerarLo con la imitazione delle virtù, del­l'umiltà, mansuetudine, ubbidienza, purezza ed amo­re verso Dio ed il prossimo. Prometti di non far passar giorno senza riverirLo, invocarLo, ed onorar­Lo; Egli ti aiuterà nel difficile viaggio di questo mon­do, e poi introdurrà l'anima tua nel Paradiso.
APPARIZIONE DI S. MICHELE A S. GALGANO EREMITA IN SIENA
Al tempo dell'Imperatore Federico nacque in Sie­na un certo di nome Galgano, il quale era dedito alle dissolutezze. A lui apparve due volte S. Michele in sogno avvisandolo che cambiasse vita, e si facesse soldato di Cristo. Ripeté il S. Arcangelo la terza volta l'avviso; ma la madre ed i parenti tentarono di di­stoglierlo da questo intento, offrendogli per accasarsi una moglie molta bella e facoltosa. Persuaso da' suoi, cavalcò per andare a vedere la sua sposa; ma il ca­vallo ad un certo punto si arrestò e non volle più fare un passo avanti. Mentre Galgano premeva for­temente lo sprone affinché il cavallo proseguisse il cammino venne a conoscenza che un Angelo gli tratteneva il passo. A questo prodigio il cavaliere cambiò proposito e ritirandosi in una solitudine ivi condusse una vita celeste, in continui digiuni, au­sterità ed orazioni. E dopo un anno di vita rigorosa, fu chiamato alla gloria del cielo con udire queste dolci parole: «Basta oramai quello che hai faticato; tempo è già che tu godi il frutto di quel che hai se­minato». Ed allora subito spirò all'età di 33 anni nel 1181. La sua santità risplendette di molti miracoli in vita, ed in morte.
PREGHIERA
O potentissimo principe, amabile S. Michele, Vi lodo e Vi benedico per tanta potenza, di cui Dio Vi ha arricchito, e Vi prego di annoverarmi tra i vostri servi. Ottenetemi dal misericordioso Iddio la grazia di servirLo sempre fedelmente: assistetemi con la vostra protezione e fatemi forte specialmente con­tro le tentazioni dell'inferno, in modo che un giorno venga con Voi a godere per sempre Dio nel Paradiso.
SALUTAZIONE
Io Vi saluto, o S. Michele; imprimete nell'anima mia il segno dalla Predestinazione.
FIORETTO
Non parlerai male di nessuno; e se ti accorgerai di aver mancato ne farai pronta riparazione.
Preghiamo l’Angelo Custode: Angelo di Dio, che sei il mio custode, illu­mina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. Amen.
Angelo, mio custode, amorevole guida che con miti rimproveri e con continue ammonizioni mi inviti a riscattarmi dalla colpa, ogni qualvolta per mia disgrazia vi sono caduto, ti saluto e ti ringrazio, insieme al coro delle Potestà destinate a frenare il demonio. Ti prego di svegliare l'anima mia dal letargo della tiepidezza in cui vive tutto­ra per resistere e trionfare su tutti quanti i nemici.
Angelo di Dio

giovedì 18 settembre 2014

Il demonio, nessun altro, si trovava dietro la videocamera quella sera; è lui il regista oscuro ...


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LEGGI IL COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO

IL DEMONIO o, nessun altro, si trovava dietro la videocamera quella sera; è lui il regista oscuro del gesto agghiacciante di Pietro Maxymilian che si è gettato nel vuoto trascinandovi Alessandra, la sua ex fidanzata... LEGGI TUTTO







      Uno sguardo profetico sugli eventi 
      Un'anima gettata nel vuoto e la Chiesa in cerca d'anime perdute...

      Una riflessione sui fatti di Milano, dove un ragazzo ventenne si è lanciato dal settimo piano trascinando con sé l'ex fidanzata

      Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori c'è una voce seduttrice, che si oppone a Dio, la quale, per invidia, li fa cadere nella morte. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo. La Chiesa insegna che all'inizio era un angelo buono, creato da Dio. «Il diavolo infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi ».  La Scrittura parla di un peccato di questi angeli. Tale « caduta » consiste nell'avere, questi spiriti creati, con libera scelta, radicalmente ed irrevocabilmente rifiutato Dio e il suo Regno. Troviamo un riflesso di questa ribellione nelle parole rivolte dal tentatore ai nostri progenitori: «Diventerete come Dio». «Il diavolo è peccatore fin dal principio», «padre della menzogna».

      Catechismo della Chiesa Cattolica



      Il demonio, nessun altro, si trovava dietro la videocamera quella sera; è lui il regista oscuro del gesto agghiacciante di Pietro Maxymilian che si è gettato nel vuoto trascinandovi Alessandra, la sua ex fidanzata. Con le parole sparse sui media, con le analisi e i dibattiti non lo si smaschererà mai. Lui ci sguazza in questo diluvio di opinioni, sa nascondersi e far perdere le sue tracce proprio dentro le ragioni sviscerate, soprattutto nelle ovvietà. 
      Come quelle di chi dice che è accaduto perché Pietro era stato adottato, i genitori si erano separati, insomma la sua era stata una vita come una groviera, con voragini affettive che l'hanno assorbito facendolo impazzire. Oppure che era un mostro e basta, un assassino vile e perverso. 
      Ma Pietro, come ciascuno di noi, era innanzitutto un uomo libero. Di fronte alla storia, alle relazioni, nel fondo del suo cuore era libero, poteva scegliere, e ha scelto. Se si nega questo, neghiamo l'uomo. Per quanto le vicende della vita possano ferirci, non ci condizionano mai sino al punto di toglierci la libertà. Essa ci è data da Dio, ed è inviolabile. 
      Per questo, è nel fondo del cuore che si è consumato il suo gesto, molto prima di realizzarlo: "Ho perso l’anima tempo fa e quando sono salito sul terrazzo ero solo un corpo ed un ammasso di rabbia, incredulità e puro spirito sadico" ha lasciato scritto. Tempo fa: già, quando si perde l'anima? Forse inconsapevolmente Pietro ha usato il verbo più idoneo: perdere. Lo stesso utilizzato da Gesù: "Che giova all'uomo conquistare il mondo intero se poi perde la sua anima?". L'originale greco del termine si può tradurre anche con "gettare via"; prima di gettare il suo corpo nel vuoto, vi aveva gettato la sua anima: "Purtroppo con l’Alessandra ho finito a coinvolgere tutto me stesso: anima, cuore e corpo, ho specificato anima perché se si arrivano a fare certe cose, vuol dire che non la si ha più". 
      Di fronte alla sofferenza inevitabile di una storia complicata come la sua, come in fondo sono tutte le storie, Pietro ha creduto alla menzogna del demonio; la conosciamo bene vero?, tanto è amplificata in questa generazione che crede di poter "conquistare il mondo intero" con un click o un touch. Anche una donna, un uomo, ridotti a bambolotti per soddisfare i capricci dei tanti Caligola che siamo diventati. Anche Alessandra. 
      Sì, finalmente sarebbe diventato come Dio, riscattando una vita beffarda; con Alessandra avrebbe avuto quello che ingiustamente gli era stato tolto. Così, come la stragrande maggioranza degli adolescenti, e dei giovani, e degli adulti, ha messo tutto se stesso in quella relazione, trasformando la ragazza in un idolo. Aveva ceduto la sua anima in cambio di un frutto che, invece della felicità che cercava, gli ha consegnato "un odio così forte da essere felice di sacrificare la propria vita per far provare all'altro la vera tristezza". Credeva di riempirsi, è "rimasto a secco". 
      Alessandra non avrebbe potuto saziare la fame della sua anima, anche se avessero continuato a stare insieme. Lo scrive lui, dicendo che con il suo gesto ha voluto "sfogare 7 anni di dolore". Ma come, dolore? Allora non è stato perché l'ha lasciato... Il dolore è stato dall'inizio. E' qui dove ha cominciato a perdere la sua anima. Se inizi una relazione per impossessarti dell'altro muori in quello stesso momento; l'altro si trasforma in una fonte di dolore, anche se ti diverti, se ci fai l'amore, se credi di amarlo e fai mille sacrifici per conquistarlo. Se invece lo accogli come un dono a cui offrirti nel rispetto e nella libertà, desiderando il suo autentico bene, cominci a sperimentare la vita che non muore, frutto di una vita perduta per amore. 
      Chiediamoci se non stiamo per caso vivendo anche noi il matrimonio, il fidanzamento, le amicizie come territori di conquista. Non stiamo anche noi gettando via la nostra anima in cambio di felicità rancide che si trasformano in frustrazioni e peccati? Non stiamo seguendo il sibilo suadente del serpente che ci vuol trascinare nella sua caduta? Osservate bene, e nei fotogrammi del gesto di Pietro Maxymilian vedrete in negativo le sembianze del diavolo, precipitato fuori dal Paradiso: "Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell'aurora? Come mai sei stato messo a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all'Altissimo. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso!". 
      Così Satana. Per Pietro speriamo la misericordia infinita di Dio, capace di intercettare in lui il grido di suo figlio in Croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" e rispondergli con il perdono. Pietro non è morto sul colpo; forse perché il Padre lo voleva aspettare ancora, nell'ultimo frammento della sua vita. Di certo in quei momenti che lo separavano dalla morte, nel suo intimo così vicino all'abisso che le macchine non possono misurare, gli era accanto Cristo; aveva versato sulla Croce il suo sangue per mescolarlo a quello di Pietro e togliere così ogni macchia dall'anima che aveva perduto. Gesù era lì per riconsegnargliela e aprirgli le porte della vita che non muore. E forse Pietro l'ha accolta, e con essa il perdono. Noi preghiamo perché egli possa oggi contemplare il volto del Padre che si era illuso di incontrare nelle creature. 
      Ma non solo. C'è una missione che si fa ogni istante più urgente. Le attenzioni degli amici avevano aperto una breccia, un desiderio nuovo in Pietro: "In queste settimane si sono comportati in modo magnifico. Purtroppo ciò mi ha fatto anche desiderare una vita perfetta a cui prima non avevo mai aspirato, perciò posso dire che nel mio caso, sia stata la speranza a fregarmi". Basta poco, basta esserci. Gli amici hanno fatto quello che hanno potuto, ma la Chiesa ha il segreto della speranza; per questo è chiamata ad annunciarla e a darne ragione. Non possiamo chiuderci nell'egoismo, cercando nella fede solo il nostro benessere e la pace per la nostra vita. Anche così "getteremmo via" la nostra anima. 
      Lo affermava proprio ieri Papa Francesco, e mette i brividi la contemporaneità delle sue parole: "Se ad esempio alcuni cristiani fanno questo e dicono: "Noi siamo gli eletti, solo noi", alla fine muoiono. Muoiono prima nell’animapoi moriranno nel corpo, perché non hanno vita, non sono capaci di generare vita, altra gente, altri popoli: non sono apostolici. Ed è proprio lo Spirito a condurci incontro ai fratelli, anche a quelli più distanti in ogni senso, perché possano condividere con noi l’amore, la pace, la gioia che il Signore Risorto ci ha lasciato in dono. Che cosa comporta, per le nostre comunità e per ciascuno di noi, far parte di una Chiesa che è cattolica e apostolica? Anzitutto, significa prendersi a cuore la salvezza di tutta l’umanità, non sentirsi indifferenti o estranei di fronte alla sorte di tanti nostri fratelli, ma aperti e solidali verso di loro. Significa inoltre avere il senso della pienezza, della completezza, dell’armonia della vita cristiana, respingendo sempre le posizioni parziali, unilaterali, che ci chiudono in noi stessi". 
      Significa che, nutriti dalla Parola di Dio e dai sacramenti nelle nostre comunità, ciascuno di noi che ha conosciuto la misericordia di Dio è chiamato a mostrare sul candelabro di vite imperfette e piene di errori, fallimenti, peccati e sofferenze, che la speranza non dà fregature, perché "l'amore di Cristo è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo". E l'amore di Cristo "urge", spinge i cristiani ad annunciare che Lui ha vinto il peccato ed è davvero risorto, e ora è vivo per dare senso e compimento a ogni vita, strappando al vuoto ogni anima.


      mercoledì 17 settembre 2014

      Deserto

      Deserto

      by Berlicche
      La vita è una ricerca della letizia.
      Ma non c'è letizia senza utilità; non c'è utilità senza generare qualcosa. La letizia arriva dal riconoscere chi siamo e generare quello che verrà.
      Al di fuori di questo c'è solo il vento che soffia sopra al deserto e svanisce.

      giovedì 11 settembre 2014

      Il racconto dell’Anticristo

      Vladimir Sergeević Solov'ëv,
      Il racconto dell’Anticristo
      L'imperatore-superuomo comprende bene che cosa occorre per le moltitudini a lui sottoposte. In quel tempo giunge in Roma a lui dall'Estremo Oriente un grande operatore di miracoli, circondato da una fitta nube di strane avventure e di bizzarri racconti fiabeschi.

                 L'imperatore-superuomo comprende bene che cosa occorre per le moltitudini a lui sottoposte. In quel tempo giunge in Roma a lui dall'Estremo Oriente un grande operatore di miracoli, circondato da una fitta nube di strane avventure e di bizzarri racconti fiabeschi. Costui, secondo le voci che correvano fra i neo-buddisti, aveva un'origine divina essendo figlio del dio del sole Surya e di una ninfa d'un fiume. 
                Questo operatore di miracoli si chiamava Apollonio; era senza alcun dubbio un uomo di genio, metà asiatico metà europeo, vescovo cattolico in partibus infidelium, riuniva in sé in modo meraviglioso il possesso delle conclusioni più recenti e delle applicazioni tecniche della scienza occidentale, con la conoscenza e la capacità di servirsi di tutto ciò che è veramente fondato e importante nel misticismo tradizionale dell'Oriente. Strabilianti saranno i risultati di una combinazione di tal genere! Apollonio giunge fra l'altro all'arte mezzo scientifica e mezzo magica di captare e di guidare a propria volontà l'elettricità dell'atmosfera, e fra il popolo si dice che egli fa discendere il fuoco dal cielo. Del resto, pur colpendo l'immaginazione della folla con svariati inauditi prodigi, non è sceso ancora ad abusare della propria potenza per scopi particolari.
                Così ecco che quest'uomo viene incontro al grande imperatore, lo saluta chiamandolo vero figlio di Dio; e gli dichiara di aver trovato nei libri segreti dell'Oriente predizioni che designano direttamente lui, l'imperatore, come ultimo salvatore che giudicherà l'universo e propone di mettere al suo servizio la propria persona e tutta la propria arte. Affascinato, l'imperatore lo accoglie come un dono del cielo e, dopo averlo decorato con titoli fastosi, non si separerà mai più da lui. E così i popoli della terra, colmati di benefici dal loro signore, ottengono, oltre alla pace universale e alla generale sazietà, anche la possibilità di dilettarsi costantemente con i prodigi e le apparizioni più diverse e più sorprendenti. Intanto finisce il terzo anno di regno del superuomo.
                Dopo la felice soluzione del problema politico e sociale, viene alla ribalta la questione religiosa. Fu lo stesso imperatore a sollevarla, affrontandola anzitutto nei suoi rapporti col cristianesimo. Questa era la situazione del cristianesimo in quel tempo. Nonostante una fortissima diminuzione nel numero dei suoi fedeli - su tutto il globo terrestre non rimanevano più di quarantacinque milioni di cristiani - esso si era elevato e reso più compatto moralmente, guadagnando in qualità ciò che aveva perduto in numero. Non si contavano ormai fra i cristiani degli individui che non avessero più per il cristianesimo alcun interesse spirituale.
                Le diverse confessioni religiose avevano subìto una diminuzione abbastanza similare nel numero dei fedeli, cosicché si era approssimativamente mantenuta fra di esse la stessa proporzione numerica di prima; per quanto concerne i loro sentimenti reciproci, anche se all'inimicizia non era subentrato un ravvicinamento completo, quella si era notevolmente addolcita e le opposizioni avevano perduto la loro primitiva asprezza.
                Il papato da tempo era stato scacciato da Roma e dopo lunghe peregrinazioni aveva trovato un asilo a Pietroburgo, alla condizione di non svolgere propaganda nella città e nell'interno del paese. Il papato si era notevolmente semplificato in Russia. Senza modificare nella sostanza il rigoroso ordinamento dei suoi collegi e dei suoi uffici, aveva dovuto rendere maggiormente spirituale il carattere della loro attività e similmente ridurre al minimo la fastosità del suo rituale e delle sue cerimonie. Molte costumanze strane ed allettanti, anche se non erano state abolite formalmente, andarono in disuso da sé. In tutti gli altri paesi, specialmente nell'America del Nord, la gerarchia cattolica possedeva ancora molti rappresentanti di forte volontà, di infaticabile energia e in una posizione indipendente: questi con maggior forza di prima stringevano in pugno l'unità della Chiesa cattolica e le conservavano il suo carattere internazionale cosmopolita.
                Per quanto concerne il protestantesimo, in testa al quale continuava a mantenersi la Germania, specie dopo che una parte considerevole della Chiesa anglicana si era riunita alla Chiesa cattolica, esso si era sbarazzato delle sue tendenze negatrici estreme, i cui sostenitori erano passati apertamente all'indifferentismo religioso e all'incredulità. Nella Chiesa evangelica erano rimasti soltanto i sinceri credenti, in testa ai quali stavano uomini che riunivano in sé una vasta dottrina insieme ad una profonda religiosità e che sempre più rafforzavano in sé l'aspirazione a riprodurre in se stessi la viva immagine del vero cristianesimo primitivo.
                L'ortodossia russa, dopo che gli avvenimenti politici avevano mutato la posizione ufficiale della Chiesa, aveva perduto molti milioni di sedicenti fedeli, adepti solo di nome; in compenso provava la gioia di essere unita alla parte migliore dei vecchi credenti e perfino ai seguaci di molte sette animate da uno spirito religioso positivo. Questa Chiesa rinnovata, senza aumentare di numero, prese a sviluppare le sue forze spirituali, che manifestava in particolar modo nella sua lotta interna contro le sette estremiste che si erano moltiplicate tra il popolo e nella società e non erano esenti da elementi demoniaci e satanici.
                Durante i primi due anni del nuovo regime, tutti i cristiani ancora impauriti e stanchi della serie di guerre e rivoluzioni precedenti, dimostravano, nei riguardi del nuovo sovrano e delle sue pacifiche riforme, in parte una benevola aspettativa, in parte una decisa simpatia e perfino un ardente entusiasmo. Ma al terzo anno, con la comparsa del grande mago, molti, ortodossi, cattolici ed evangelici, cominciarono a provare serie apprensioni e antipatie.
                Ci si pose a leggere con maggiore attenzione e a commentare con più vivacità i testi evangelici e apostolici che parlavano del principe di questo mondo e dell' Anticristo. L'imperatore, subodorando da certi indizi che si stava addensando una tempesta, decise di mettere le cose in chiaro al più presto. Al principio del quarto anno di regno, egli pubblicò un manifesto indirizzato a tutti i fedeli cristiani di ogni confessione, invitandoli a scegliere o nominare dei rappresentanti muniti di pieni poteri, in vista di un concilio ecumenico da tenere sotto la sua presidenza.
                La residenza imperiale a quel tempo era stata trasferita da Roma a Gerusalemme. La Palestina era allora una provincia autonoma, abitata e governata in prevalenza da ebrei. Gerusalemme era una città libera diventata in seguito città imperiale. I luoghi sacri ai cristiani erano rimasti intatti; ma sulla vasta piattaforma di Haram-eš-Scerif, partendo da Birket-Israin e dall'attuale caserma da un lato fino alla moschea di El-Aksa e alle «Scuderie di Salomone» dall'altro lato, s'innalzava un enorme edificio che comprendeva oltre a due piccole moschee antiche, uno spazioso «tempio» imperiale, destinato all'unione di tutti i culti, due fastosi palazzi imperiali con biblioteche, musei e dei locali particolari per esperimenti ed esercizi di magia. In questo edificio mezzo tempio e mezzo palazzo, doveva aprirsi, alla data del 14 settembre, il concilio ecumenico.
                Poiché la confessione evangelica non ha clero nel vero senso della parola, i prelati cattolici e ortodossi, per dare, conforme al desiderio dell'imperatore, una certa omogeneità alla rappresentanza di tutte le confessioni della cristianità, decisero di permettere che partecipasse al concilio un certo numero di laici, noti per la loro pietà e la loro dedizione agli interessi della Chiesa; e una volta ammessi i laici non si poteva escludere il basso clero, secolare e regolare. In tal modo il numero complessivo dei membri del concilio superò i tremila, ma circa mezzo milione di pellegrini cristiani invase Gerusalemme e tutta la Palestina. Fra i membri del concilio, tre erano posti in particolare evidenza.
                In primo luogo il papa Pietro II che stava per diritto a capo della sezione cattolica del concilio. Il suo predecessore era morto mentre era in viaggio per recarsi al concilio e il conclave, riunitosi a Damasco, aveva eletto all'unanimità il cardinale Simone Barionini che aveva assunto il nome di Pietro II. Proveniva da una povera famiglia della provincia di Napoli ed era diventato famoso come predicatore dell'ordine dei carmelitani e inoltre per aver reso grandi servizi nella lotta contro una setta satanica, che si era affermata a Pietroburgo e nei suoi dintorni pervertendo non solo gli ortodossi ma anche i cattolici. Divenuto arcivescovo di Mogilëv e in seguito fatto cardinale, era già in anticipo designato alla tiara. Era un uomo di cinquant'anni, di media statura, di costituzione robusta, di colorito rosso, naso adunco, folte sopracciglia.
                Era ardente e impetuoso, parlava con foga con ampi gesti e trascinava, più che non li persuadesse, i suoi uditori. Verso il padrone del mondo, il nuovo papa dimostrava diffidenza e antipatia, specie dopo il fatto che il defunto pontefice, mentre si recava al concilio, aveva ceduto alle insistenze dell'imperatore e aveva nominato cardinale l'esotico vescovo Apollonio, già cancelliere imperiale e gran mago universale, che Pietro riteneva dubbio cattolico, ma autentico impostore.
                Capo effettivo degli ortodossi, benché in forma non ufficiale, era lo starec Giovanni assai noto fra il popolo russo. Benché figurasse ufficialmente come vescovo «a riposo», egli non viveva in nessun monastero e andava sempre in giro da tutte le parti. Sul suo conto correvano varie leggende. Alcuni assicuravano che era Fëdor Kuzmić risorto, vale a dire l'imperatore Alessandro I morto circa tre secoli prima. Altri andavano più avanti e affermavano che egli era il vero starec Giovanni, cioè l'apostolo Giovanni il Teologo che non era mai morto e si era manifestato apertamente negli ultimi tempi. Da parte sua egli non diceva nulla circa la sua origine e circa la sua giovinezza. Era adesso un vecchio di molti anni, ma aitante, con la canizie dei capelli ricciuti e della barba che tirava ad una tinta giallastra e perfino verde; era di statura alta e corpo magro, ma aveva guance piene e leggermente rosee, occhi vivi scintillanti e un'espressione dolcemente bonaria nella faccia e nel modo di parlare; portava sempre una tunica bianca e un candido mantello.
                A capo della delegazione evangelica del concilio stava l'eruditissimo teologo tedesco, professor Ernst Pauli. Era un vecchietto di bassa statura, asciutto, con fronte spaziosa, naso aguzzo, mento rasato e liscio. I suoi occhi brillavano di una particolare fiera bonomia. Ad ogni momento si stropicciava le mani, scuoteva la testa, aggrottava le ciglia in modo terribile e spingeva in avanti le labbra; intanto con occhi sfavillanti pronunciava con voce cupa dei suoni interrotti: «So! Nun! Ja! So also!». Indossava l'abito di cerimonia: cravatta bianca, e lunga redingote da pastore con alcune decorazioni.
                L'apertura del concilio fu imponente. Per due terzi dell'immenso tempio consacrato «all'unione di tutti i culti» erano disposte panche e altri sedili per i membri del concilio, l'altro terzo era occupato da un alto palco, dove oltre al trono dell'imperatore e ad un altro un po' più basso destinato al gran mago - egli era infatti il cardinale cancelliere imperiale - si trovavano più indietro file di poltrone riservate ai ministri, ai dignitari di corte e ai segretari di Stato. Ai lati c'erano ancor più lunghe file di poltrone di cui non si conosceva la destinazione. Nelle tribune si trovavano delle orchestre di musicanti e nella piazza vicina erano schierati due reggimenti della guardia e una batteria per le salve d'onore.
                I membri del concilio avevano già celebrato i loro servizi divini nelle varie chiese, in quanto l'apertura del concilio doveva avere un carattere completamente laico. Quando l'imperatore fece il suo ingresso insieme al gran mago ed al seguito, e l'orchestra attaccò «la marcia dell'umanità unita» che serviva da inno imperiale e internazionale, tutti i membri del concilio si alzarono in piedi e agitando i loro cappelli gridarono tre volte a gran voce: «Vivat! Urrah! Hoch!».
                L'imperatore, ritto in piedi accanto al trono, tese il braccio con maestosa affabilità e disse con voce sonora e gradevole: «Cristiani di tutte le confessioni! Miei amatissimi sudditi e fratelli! Fin dagli inizi del mio regno, che l'Altissimo ha benedetto con opere così meravigliose e gloriose, non una volta ho avuto motivo di essere scontento di voi; voi avete sempre fatto il vostro dovere secondo fede e coscienza. Ma questo per me non basta. Il sincero amore ch'io provo per voi, fratelli amatissimi, anela di essere ricambiato. Voglio che non per senso di dovere, ma per un sentimento di amore che viene dal cuore, voi mi riconosciate per vostro vero capo, in ogni azione intrapresa per il bene dell'umanità. E così, oltre alle cose che faccio per tutti, vorrei darvi un segno di particolare benevolenza. Cristiani, come potrei io rendervi felici? Che posso darvi non come miei sudditi, ma come miei correligionari, miei fratelli? Cristiani! Ditemi ciò che vi sta più a cuore nel cristianesimo affinché io possa dirigere i miei sforzi in questa direzione».
                Egli si arrestò ed attese. Nel tempio correva un brusio soffocato. I membri del concilio bisbigliavano tra loro. Papa Pietro, gesticolando con calore, spiegava qualcosa a quelli che gli stavano attorno. Il professor Pauli scuoteva la testa e faceva schioccare le labbra con accanimento. Lo starec Giovanni, piegandosi verso un vescovo d'Oriente e un cappuccino, suggeriva loro qualcosa con voce sommessa.
                Dopo aver atteso qualche minuto, l'imperatore si rivolse di nuovo al concilio con lo stesso tono affabile di prima, ma in cui risonava appena un'impercettibile nota di ironia: «Cari cristiani, disse, comprendo come vi riesca difficile darmi una risposta diretta. Voglio darvi una mano. Disgraziatamente da tempo così immemorabile voi vi siete frazionati in sette e partiti diversi che forse tra voi non c'è nemmeno un argomento che susciti la vostra comune simpatia. Ma se non siete capaci di mettervi d'accordo tra voi, spero di mettere d'accordo io tutte le parti, dimostrando a tutti il medesimo amore e la medesima sollecitudine per soddisfare la vera aspirazione di ciascuno. Cari cristiani!
                So che molti fra voi, e non gli ultimi, hanno più caro di tutto nel cristianesimo quell'autorità spirituale che esso dà ai suoi legittimi rappresentanti e non per loro particolare vantaggio, ma senza dubbio per il bene comune, poiché su questa autorità si basa il giusto ordine spirituale, nonché la disciplina morale, indispensabile per tutti. Cari fratelli cattolici! Oh, come capisco il vostro modo di vedere e come vorrei appoggiare la mia potenza sull'autorità del vostro capo spirituale!
                E perché non crediate che si tratti di lusinghe e di vane parole, noi dichiariamo solennemente: per nostra autocratica volontà, il vescovo supremo di tutti i cattolici, il papa romano, da questo momento è reintegrato nel suo seggio di Roma, con tutti i diritti e le prerogative di un tempo, inerenti a questa condizione e a questa cattedra e che un giorno gli furono conferiti dai nostri predecessori a cominciare da Costantino il Grande. Ma per questo, fratelli cattolici, voglio soltanto che dall'intimo del cuore riconosciate in me il vostro unico difensore ed unico protettore. Coloro che per coscienza e sentimento mi riconoscono tale vengano qui vicino a me». E indicava i posti vuoti sul palco.
                Con esclamazioni di gioia - «Gratias agimus, Domine! Salvum fac magnum imperatorem» - quasi tutti i principi della Chiesa cattolica, cardinali e vescovi, la maggior parte dei credenti laici e più della metà dei monaci salirono sul palco e dopo essersi profondamente inchinati davanti all'imperatore, andarono ad occupare le poltrone loro destinate. Ma giù, in mezzo all'assemblea, diritto e immobile come una statua di marmo, il papa Pietro II rimase al suo posto. Tutti coloro che prima gli stavano intorno ora si trovavano sul palco. Allora la schiera ormai diradata dei monaci e dei laici, che era rimasta in basso, si spostò e si strinse attorno a lui in un anello serrato da cui si udiva un mormorio contenuto: «Non praevalebunt, non praevalebunt portae inferi».
                Guardando con sorpresa il papa immobile, l'imperatore alzò di nuovo la voce: «Cari fratelli! So che fra voi ci sono di quelli per i quali le cose più preziose del cristianesimo sono la sua santa tradizione, i vecchi simboli, i cantici e le preghiere antiche, le icone e le cerimonie del culto. E in realtà che cosa vi può essere di più prezioso di questo per un'anima religiosa? Sappiate dunque, miei diletti, che oggi ho firmato lo statuto e fissata la dotazione di larghi mezzi per il museo universale dell'archeologia cristiana che verrà fondato nella nostra gloriosa città imperiale di Costantinopoli, con lo scopo di raccogliere, studiare e conservare tutti i monumenti dell'antichità ecclesiastica, principalmente quelli della Chiesa orientale; vi prego poi che domani eleggiate fra voi una commissione con l'incarico di studiare con me le misure da prendere per riavvicinare, quanto più è possibile, i costumi e le usanze della vita attuale, alla tradizione e alle istituzioni della Santa Chiesa Ortodossa! Fratelli ortodossi! quelli che hanno in cuore questa mia volontà, quelli che per intimo sentimento mi possono chiamare loro vero capo e signore vengano qui sopra».
                E la maggior parte dei prelati dell'Oriente e del Nord, la metà dei vecchi credenti e più della metà dei preti, dei monaci e dei laici ortodossi salirono sul palco con grida di gioia, dando uno sguardo di sfuggita ai cattolici che già vi stavano assisi con aria di importanza. Ma lo starec Giovanni non si mosse e diede un forte sospiro. E quando la folla attorno a lui si fu alquanto diradata, lasciò il suo banco e andò a sedersi vicino a papa Pietro e al suo gruppo. Dietro di lui si avviarono anche tutti gli altri ortodossi che non erano saliti sul palco.
                L'imperatore prese di nuovo a parlare: «Mi sono noti fra voi, cari cristiani, anche coloro che nel cristianesimo apprezzano più di tutto la personale sicurezza in fatto di verità e la libera ricerca riguardo alla Scrittura. Non occorre che mi diffonda su quello che ne penso io. Voi sapete forse che fin dalla mia prima giovinezza ho scritto sulla critica biblica una voluminosa opera, che a quel tempo ha fatto un certo rumore e ha dato inizio alla mia notorietà. Ed ecco che probabilmente in ricordo di questo fatto l'università di Tubinga in questi giorni mi ha rivolto la richiesta di accettare la sua laurea ad honorem di dottore in teologia. Ho ordinato di rispondere che accettavo con gioia e gratitudine.
                E oggi, insieme al decreto per la fondazione del museo d'archeologia cristiana, ho firmato quello per la creazione di un istituto universale per la libera ricerca sulla Sacra Scrittura in tutte le sue parti e da tutti i punti di vista, nonché per lo studio di tutte le scienze ausiliarie, con un bilancio annuale di un milione e mezzo di marchi. Quelli di voi che hanno a cuore queste mie sincere disposizioni e che con puro sentimento possono riconoscermi per loro capo sovrano, li prego di venire qui, accanto al nuovo dottore in teologia». E le belle labbra del grande uomo si allungarono lievemente in uno strano sorriso. Più della metà dei sapienti teologi si mosse verso il palco, sia pure con qualche indugio e qualche esitazione.
                Tutti volsero lo sguardo verso il professor Pauli che pareva abbarbicato al suo seggio. Egli abbassava profondamente il capo, curvandosi e contraendosi. I sapienti teologi che erano saliti sul palco rimasero confusi, anzi uno di essi a un tratto agitò il braccio e saltò giù direttamente in basso accanto alla scala e, zoppicando un po', corse a raggiungere il professor Pauli e la minoranza rimasta con lui. Pauli sollevò il capo, si alzò con un movimento un po' indeciso, si diresse verso i banchi rimasti vuoti e, accompagnato dai suoi correligionari che avevano tenuto fermo, venne con essi a sedersi accanto allo starec Giovanni, al papa Pietro e ai loro gruppi.
                La grande maggioranza dei membri del concilio si trovava sul palco, ivi compresa quasi tutta la gerarchia dell'Oriente e dell'Occidente. In basso erano rimasti soltanto tre gruppi di uomini che si erano avvicinati gli uni agli altri e che si stringevano accanto allo starec Giovanni, al papa Pietro e al professor Pauli.
                Con accento di tristezza, l'imperatore si rivolse a loro dicendo: «Che cosa posso fare ancora per voi? Strani uomini! Che volete da me? lo non lo so. Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento popolare; che cosa avete di più caro nel cristianesimo?». Allora simile a un cero candido, si alzò in piedi lo starec Giovanni e rispose con dolcezza: «Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui Stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità. Da te, o sovrano, noi siamo pronti a ricevere ogni bene, ma soltanto se nella tua mano generosa noi possiamo riconoscere la santa mano di Cristo. E alla tua domanda che puoi tu fare per noi, eccoti la nostra precisa risposta: confessa, qui ora davanti a noi, Gesù Cristo Figlio di Dio che si è incarnato, che è risuscitato e che verrà di nuovo; confessalo e noi ti accoglieremo con amore, come il vero precursore del suo secondo glorioso avvento».
                Egli tacque e piantò lo sguardo nel volto dell'imperatore. In costui avveniva qualche cosa di tremendo. Nel suo intimo si stava scatenando una tempesta infernale, simile a quella che aveva provato nella notte fatale. Aveva perduto interamente il suo equilibrio interiore e tutti i suoi pensieri si concentravano nel tentativo di non perdere la padronanza di se stesso anche nelle apparenze esteriori e di non svelare se stesso prima del tempo. Fece degli sforzi sovrumani per non gettarsi con urla selvagge sull'uomo che gli aveva parlato e sbranarlo coi denti. A un tratto sentì la voce ultraterrena a lui ben nota che gli diceva: «Taci e non temere nulla». Egli rimase in silenzio. Però il suo volto, rabbuiato e col pallore della morte, era divenuto convulso, mentre i suoi occhi sprizzavano scintille.
                Frattanto durante il discorso dello starec Giovanni, il gran mago che stava seduto tutto ravvolto nel suo ampio mantello tricolore che ne nascondeva la porpora cardinalizia, sembrava occupato a compiere sotto di esso arcane manipolazioni, i suoi occhi dallo sguardo concentrato scintillavano e le sue labbra si movevano. Dalle finestre aperte del tempio si scorgeva avvicinarsi un'enorme nuvola nera e ben presto tutto fu coperto dall'oscurità. Lo starec Giovanni che non staccava i suoi occhi sbigottiti e spaventati dal volto dell'imperatore, rimasto ammutolito, a un tratto diede un sussulto per lo spavento e voltandosi indietro gridò con voce strozzata: «Figlioli, è l'Anticristo!». Nel tempio scoppiò un tremendo colpo di tuono e simultaneamente si vide saettare una folgore enorme a forma di cerchio che avviluppò il vegliardo. Per un istante tutti rimasero come annichiliti e quando i cristiani si furono ripresi dallo stordimento, lo starec Giovanni giaceva a terra cadavere.
                L'imperatore, pallido ma calmo, si rivolse all'assemblea dicendo: «Voi avete veduto il giudizio di Dio. lo non volevo la morte di alcuno, ma il mio Padre celeste vendica il suo figlio prediletto. La questione è risolta. Chi oserà contestare i voleri dell' Altissimo? Segretari! Scrivete: il Concilio ecumenico di tutti i cristiani, dopo che il fuoco venuto dal cielo ebbe folgorato un insensato avversario della maestà divina, riconosce all'unanimità il regnante imperatore di Roma, come suo capo e supremo sovrano». A un tratto una parola squillante e distinta si propagò per il tempio: «Contradicitur».
                Il papa Pietro II si alzò in piedi e col volto imporporato, tutto tremante di collera, sollevò il pastorale in direzione dell'imperatore: «Nostro unico sovrano è Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente. Ma ciò che tu sei l'hai sentito. Vattene da noi, Caino fratricida! Via da noi, vaso del demonio! Per l'autorità di Cristo, io, servo dei servi di Dio, ti scaccio per sempre dal recinto divino, cane schifoso, e ti consegno al padre tuo, Satana! Anatema, anatema, anatema!». Mentre egli parlava, il gran mago si agitava inquieto sotto il suo mantello: più fragoroso dell'ultimo anatema rimbombò un colpo di tuono e l'ultimo papa cadde a terra inanimato.
                «Così per mano del padre mio periscono i miei nemici», disse l'imperatore. «Pereant, pereant!», si misero a gridare tremanti i principi della Chiesa. Egli si volse e, appoggiandosi alla spalla del gran mago uscì lentamente dalla porta che stava dietro il palco, accompagnato dalla folla dei suoi seguaci. Nel tempio erano rimasti i due cadaveri e un cerchio ristretto di cristiani mezzo morti dalla paura. L'unico che non aveva perduto il suo sangue freddo era il professar Pauli. Il terrore generale pareva stimolare tutte le forze del suo spirito. Era mutato anche nel suo aspetto esteriore e aveva assunto un'aria maestosa e ispirata. Con passo risoluto, salì sul palco e, sedutosi su uno dei seggi lasciati liberi dai segretari di Stato, prese un foglio di carta e si mise a scrivere.
                Quando ebbe terminato, si alzò in piedi e a voce alta lesse: «Alla gloria del nostro unico Salvatore Gesù Cristo. Il Concilio ecumenico delle Chiese di Dio, riunito a Gerusalemme, poiché il nostro beatissimo fratello Giovanni, rappresentante della cristianità orientale, ha convinto il grande impostore e nemico di Dio di essere l'autentico Anticristo, predetto dalla Sacra Scrittura, e poiché il nostro beatissimo padre Pietro, rappresentante della cristianità occidentale, con la scomunica lo ha secondo legge e giustizia scacciato per sempre dalla Chiesa di Dio, oggi davanti ai corpi di questi due martiri della verità, testimoni di Cristo, delibera: di rompere ogni rapporto con lo scomunicato e la sua esecrabile accozzaglia, di ritirarsi nel.deserto e attendere l'immancabile venuta del nostro vero sovrano Gesù Cristo». Una grande animazione s'impadronì della folla ed echeggiarono voci possenti che dicevano: «Adveniat, adveniat cito! Komm, Herr Jesu, komm!».
                Il professor Pauli aggiunse ancora un poscritto e poi lesse: «Approvando all'unanimità questo primo ed ultimo atto dell'ultimo Concilio ecumenico, apponiamo le nostre firme», e fece un gesto d'invito all'assemblea. Tutti si affrettarono a salire sul palco e a firmare. Alla fine lui pure firmò a grossi caratteri gotici: Duorum defunctorum testium locum tenens Ernst Pauli. «Ora andiamocene con la nostra arca dell'alleanza dell'ultimo Testamento!», disse indicando i due cadaveri.
                I corpi furono issati su barelle. Lentamente, al canto di inni in latino, in tedesco e in slavonico ecclesiastico, i cristiani si avviarono alla porta di Haram-eš-Scerif. Qui il corteo fu fermato da un messo dell'imperatore, un segretario di Stato, accompagnato da un ufficiale con un plotone della guardia. I soldati si schierarono presso la porta e da un podio il segretario di Stato lesse quanto segue: «Ordine di sua maestà divina: per istruire il popolo cristiano e metterlo in guardia contro uomini malintenzionati fomentatori di discordie e di scandali, abbiamo ritenuto opportuno disporre che i corpi dei due sediziosi, uccisi dal fuoco del cielo, siano esposti in pubblico nella strada dei Cristiani (Haret-en-Nazàra) vicino alla porta principale del tempio di questa religione chiamata Santo Sepolcro o altrimenti Resurrezione, perché tutti possano persuadersi della realtà della loro morte.
                I loro ostinati partigiani poi, che malignamente respingono ogni nostro beneficio e da insensati chiudono gli occhi davanti alle evidenti manifestazioni della Divinità stessa, grazie alla nostra misericordia e alla nostra intercessione presso il Padre celeste, sono esenti dalla pena di morte, mediante il fuoco del cielo, che si sono meritata e rimangono in completa libertà, con l'unica proibizione, per il bene comune, di abitare nelle città e negli altri luoghi popolati affinché non possano sviare e sedurre con le loro malvagie invenzioni la gente ingenua e semplice». Quando ebbe finito, otto soldati a un cenno dell'ufficiale si avvicinarono alle barelle dove giacevano i corpi.
                «Si compia ciò che è scritto», disse il professar Pauli, e i cristiani che portavano le barelle le cedettero senza una parola ai soldati, i quali si allontanarono dalla porta di nord-ovest; dal canto loro i cristiani, uscendo dalla porta di nord-est, si diressero rapidamente dalla città verso Gerico, passando accanto al monte degli Ulivi, per la strada che i gendarrni e due reggimenti di cavalleria avevano in precedenza sgombrato dalla folla del popolo. Essi decisero di aspettare alcuni giorni, sulle colline deserte vicino a Gerico.
                L'indomani mattina giunsero da Gerusalemme dei pellegrini cristiani loro amici e raccontarono ciò che era accaduto a Sion. Dopo il pranzo di corte, tutti i membri del concilio erano stati convocati nell'immensa sala del trono (dove si supponeva sorgesse il trono di Salomone) e l'imperatore, rivolgendosi ai rappresentanti della gerarchia cattolica, aveva dichiarato che il bene della Chiesa esigeva da essi l'immediata elezione di un degno successore dell'apostolo Pietro, ma che nelle presenti circostanze di tempo l'elezione doveva avvenire con procedura sommaria.
                La presenza di lui, l'imperatore, capo e rappresentante di tutto il mondo cristiano, valeva largamente a compensare l'omissione delle formalità rituali, e che in nome di tutti i cristiani, egli proponeva al Sacro Collegio di eleggere il suo diletto amico e fratello Apollonio, affinché lo stretto legame esistente fra loro rendesse duratura e indissolubile l'unione della Chiesa con lo Stato per il bene comune. Il Sacro Collegio si ritirò in una camera particolare per il conclave e dopo un'ora e mezzo ritornò col nuovo papa Apollonio.
                Frattanto, mentre si procedeva all'elezione, l'imperatore con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza, cercava di persuadere i rappresentanti degli ortodossi e degli evangelici a mettere fine ai vecchi dissidi in vista di una nuova grande epoca storica del cristianesimo, rendendosi garante con la sua parola che Apollonio avrebbe saputo abolire una volta per sempre gli abusi storici del potere papale. Convinti da queste sue parole, i rappresentanti dell'ortodossia e del protestantesimo avevano steso l'atto di unione delle Chiese e quando Apollonio comparve nella sala con i cardinali tra le grida di giubilo di tutta l'assemblea, un vescovo greco e un pastore evangelico gli presentarono il loro documento. «Accipio et approbo et laetificatur cor meum», disse Apollonio apponendo la sua firma. «lo sono del pari un vero ortodosso e un vero evangelico, come sono un vero cattolico» - aggiunse egli, scambiando un amichevole abbraccio col greco e col tedesco. Poi si avvicinò all'imperatore, il quale lo abbracciò e lo tenne a lungo tra le braccia.
                In quel momento dei puntini luminosi cominciarono a volteggiare in tutte le direzioni nel palazzo e nel tempio; essi ingrandirono e si mutarono in ombre luminose di esseri strani; fiori mai veduti sulla terra cadevano dall'alto, riempiendo l'aria di un profumo arcano. Si diffondevano dall'alto deliziosi suoni di strumenti musicali fino allora sconosciuti che andavano dritto all'anima e afferravano il cuore, mentre voci angeliche di invisibili cantori glorificavano i nuovi sovrani del cielo e della terra. Frattanto uno spaventoso rumore sotterraneo echeggiava nell'angolo nord-ovest del palazzo centrale, sotto il kubbet-es-aruach vale a dire sotto la cupola delle anime, dove, secondo la tradizione musulmana, si trova l'entrata dell'inferno.
                Quando gli astanti, su invito dell'imperatore, si mossero verso quella parte, tutti intesero chiaramente innumerevoli voci acute e penetanti - mezzo fanciullesche e mezzo diaboliche - che esclamavano: «È giunta l'ora, liberateci, o salvatori, o salvatori!». Ma quando Apollonio, stringendosi verso la rupe, per tre volte gridò verso il basso qualcosa in una lingua sconosciuta, le voci tacquero e il rumore s'interruppe. Frattanto una folla immensa di popolo, proveniente da tutte le parti, aveva circondato Haram-eš-Scerif.
                Al calar della notte l'imperatore, col nuovo papa, aveva fatto la sua apparizione sulla gradinata orientale, sollevando «una tempesta di entusiasmo». Egli salutò affabilmente in tutte le direzioni, mentre Apollonio traeva da grandi canestri, postigli innanzi dai cardinali segretari, e lanciava in aria senza interruzione magnifiche candele romane, razzi e fontane di fuoco che accendendosi al tocco delle sue mani si trasformavano in perle fosforescenti e in luminosi arcobaleni; tutto questo toccando terra si mutava in innumerevoli fogli di carta di vari colori, con indulgenze plenarie senza condizioni per tutti i peccati passati, presenti e futuri. L'esultanza popolare sorpassò ogni limite. A dire il vero alcuni affermavano di aver visti coi propri occhi quei fogli d'indulgenza trasformarsi in rospi e serpenti estremamente schifosi. Nondimeno l'enorme maggioranza della gente andava in visibilio e la festa popolare si protrasse ancora alcuni giorni; durante questo tempo il nuovo papa taumaturgo arrivò a compiere dei prodigi così sbalorditivi e incredibili che sarebbe del tutto inutile dame una narrazione.
                Nello stesso tempo sulle alture deserte di Gerico i cristiani si dedicavano al digiuno e alla preghiera. La sera del quarto giorno sull'imbrunire, il professor Pauli e nove compagni, cavalcando degli asini e trainando una carretta, penetrarono in Gerusalemme; passando per vie traverse, vicino a Haram-eš-Scerif, sboccarono a Haret-en-Nazàra e raggiunsero l'entrata del tempio della Resurrezione, dove sul pavimento giacevano i corpi di papa Pietro e dello starec Giovanni. A quell'ora la via era deserta: tutta la città al completo si era riversata a Haram-es-Scerif. I soldati di guardia erano immersi in un sonno profondo.
                I nuovi arrivati trovarono che i corpi non erano stati toccati dal processo di decomposizione e addirittura non erano diventati rigidi e grevi. Li issarono su barelle, li ricoprirono con mantelli che avevano portato con sé e, percorrendo le stesse vie traverse, ritornarono dai loro fratelli, ma non appena ebbero posate a terra le barelle lo spirito della vita rientrò nei due morti. Essi si agitarono, cercando di sbarazzarsi dei mantelli che li avviluppavano. Tutti presero ad aiutarli con grida di gioia e ben presto i due resuscitati si alzarono in piedi sani e salvi.
                E il redivivo starec Giovanni prese così a parlare: «Ecco dunque, figlioli miei, che noi non ci siamo lasciati. Ed ecco ciò che vi dirò adesso: l'ora è giunta che si adempia l'ultima preghiera di Cristo per i suoi discepoli: che essi siano uno, come Lui stesso col Padre è uno. Così per questa unità in Cristo, figlioli miei, veneriamo il nostro carissimo fratello Pietro. Gli sia concesso finalmente di pascere le pecore di Cristo. Proprio così, fratello!». Ed egli abbracciò Pietro. A questo punto si avvicinò il professor Pauli: «Tu es Petrus!» - disse rivolto al papa -. «Jetzt ist es ja grundlich erwiesen und ausser jeden Zweifel gesetzt». Gli strinse forte la mano con la destra, mentre tendeva la sinistra allo starec Giovanni, dicendogli: «So also, Väterchen, nun sind wir ja Eins in Christo».
                Così si compì l'unione delle Chiese nel cuore di una notte oscura, su un'altura solitaria. Ma l'oscurità della notte venne a un tratto squarciata da un vivido splendore e in cielo apparve il grande segno: una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle. L'apparizione restò per qualche tempo immobile, poi si mosse lentamente verso il sud. Il papa Pietro alzando il pastorale, esclamò: «Ecco la nostra insegna! Andiamo sulle sue orme!». Ed egli si incamminò nella direzione indicata dall'apparizione insieme ai due vegliardi e a tutta la folla dei cristiani, verso il monte di Dio, verso il Sinai...
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      (L'autore) I filosofi e Cristo autore: Vladimir Sergeević Solov'ëv