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San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia; sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo; che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli; e tu, o Principe della milizia celeste, con la potenza divina, ricaccia nell'inferno satana e gli altri spiriti maligni i quali errano nel mondo per perdere le anime. AMEN. Clicca su S.Michele A .>>> e vai alla Cappella virtuale Reginamundi.info

domenica 26 gennaio 2014

“Il sacramento del diavolo”, di Don Marcello Stanzione e Carlo Di Pietro.

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di Ester M. Ledda
Che cosa sono i sacramenti? Il Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica spiega che «sono segni sensibili ed efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina» (cfr. n. 224).Quest’opera, però, ci fa notare che anche il diavolo, al quale piace “scimmiottare” Dio, ha i suoi sacramenti, o meglio, i suoi “anti-sacramenti”. Il diavolo, infatti, non vuole che ci venga elargita la vita divina, ma subdolamente non ci pone contro Dio apertamente, bensì in modo più raffinato, facendoci credere che il male è, in realtà, il bene e viceversa.Il “sacramento diabolico”, oggi largamente diffuso come “costume” soprattutto nel mondo occidentale, è la sodomia, il peccato impuro contro natura, uno dei quattro peccati che, come insegna il Catechismo di San Pio X, gridano vendetta al cospetto di Dio. Un peccato che addirittura, come riporta santa Caterina da Siena nel suo magistrale “Dialogo della Divina Provvidenza”, fa schifo pure ai demoni, perché essi, pur felicitandosi degli effetti di tale peccato, non vanno mai contro la loro stessa natura, quella angelica, seppur decaduta.Eppure, oggi, l’ideologia di gender è il pensiero dominante in Occidente, il continente, ormai, post-cristiano. Il diavolo, infatti,  ha convinto che per “amore” tutto sia permesso ed è, addirittura, approvato da Dio.  È veramente così? Ovviamente no, perché il Signore governa il mondo, tutto l’universo, per mezzo di leggi naturali a cui è sottomessa anche la natura umana: trasgredire il diritto naturale significa – come spiegano perfettamente gli autori dell’opera Carlo Di Pietro (giornalista) e Marcello Stanzione (sacerdote) – peccare, offendere Dio sempre e comunque.Già trent’anni fa, nel famoso libro-intervista con Vittorio Messori, l’allora cardinale Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI – al quale la sottoscritta spera che la Chiesa gli dia, un giorno, il titolo di Dottore della Chiesa – rilevava che «la interscambiabilità dei sessi visti come semplici “ruoli” determinati più dalla storia che dalla natura, che la banalizzazione del maschile e del femminile si estendono all’idea stessa di Dio e da lì si allargano a tutta la realtà religiosa». Si vuole, si pretende, come il primo uomo e la prima donna, di essere «liberi dalla legge del Creatore, liberi dalle stesse leggi della natura, padroni assoluti del proprio destino» (“Rapporto sulla fede”, Ed. Paoline, 1985).Dio ci ha lasciato la libertà di peccare, ma non ce ne ha dato il diritto, men che mai per “amore”.Quest’opera ha il grande merito non solo di esporre in modo chiaro il magistero della Chiesa, con riferimenti ai Padri e ai Dottori della Chiesa e con i richiami morali dei santi, ma anche di smascherare la propaganda che si sta compiendo da parte delle lobby omosessualiste per mettere a tacere non solo la Sposa di Cristo, ma tutti coloro che hanno l’onestà intellettuale di ammettere che l’“ideologia di genere” – il sacramento del diavolo –  sta portando l’umanità sull’orlo del baratro.Non solo. Gli autori, giustamente, parlano, per quanto riguarda il mostruoso scandalo del “clero pedofilo”, di una verità taciuta: i preti colpevoli di tali abominevoli peccati, sono in realtà il 20%; nel restante 80% non si tratta, appunto di pedofilia, ma di efebofilia. Ovvero membri del clero, sì, ma omosessuali (praticanti) attratti da maschi adolescenti. Senza contare che la percentuale di preti che si macchiano di quest’abominevole peccato, comunque gravissimo, è però bassissimo: lo 0,10% del clero mondiale. Un’altra manovra della potente lobby gay per infangare la loro vera, unica nemica: la Chiesa di Cristo.Non bisogna aver paura di ripetere ciò che l’Apostolo san Paolo diceva ai primi cristiani: depravati e pervertiti non entreranno nel Regno dei Cieli. Infatti, come disse Nostra Signore di Fatima alla piccola veggente, oggi beata, Giacinta Marto: «I peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne».Ringrazio gli autori per il coraggio che hanno avuto – e anche l’editore (Fede&Cultura di Verona) – nel pubblicare quest’opera, perché non è facile affermare la verità in questi tempi in cui le lobby gay si stanno impadronendo anche dei parlamenti (basti pensare al disegno di legge Scalfarotto contro la cosiddetta “omofobia”).Ma, essendo membri della Chiesa militante, non possiamo esimerci dalla battaglia in difesa della verità per il bene delle anime, soprattutto per aiutare quelle persone che hanno tendenze omosessuali: dobbiamo far capire che la Chiesa non è loro nemica, ma loro Maestra e Madre, e vuole condurle sulla via della salvezza. Questo libro è sicuramente uno strumento della Provvidenza per combattere questa fondamentale battaglia.Buona lettura, buona meditazione e, soprattutto, buona battaglia.

IL SACRAMENTO DEL DIAVOLO 

«Il sacramento del diavolo», recensione di Ester M. Ledda
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“Il sacramento del diavolo”, di Don Marcello Stanzione e Carlo Di Pietro, un libro per capire e combattere le perversioni dell’omosessualismo.
La medicina per curare la peste sodomitica, vero e proprio sa­cramento del diavolo, è sì la Divina Misericordia, che è però in­nanzitutto chiarezza dottrinale per non rischiare di lasciare i pec­catori nella morte del peccato con dottrine ambigue quando non false.
di Giovanni Zenone
L’editrice Fede e Cultura di Verona ha pubblicato un testo sull’omosessualismo, la sodomia e il Cattolicesimo opera di don Marcello Stanzione e Carlo Di Pietro intitolata “Il sacramento del diavolo”.
Quando ero ragazzino, ricordo che un sacerdote in prima linea nella lotta alla piaga degli stupefacenti e nel recupero dei tossicodipendenti definì la droga sacramento del diavolo. Furono parole molto forti che mi colpirono e che – insieme al sano terrore di avere a che fare con la droga indottomi dai genitori – mi tennero lontano da esperienze sbagliate e da vie senza ritorno. La prima volta che vidi fisicamente la droga ero insegnante, e mi trovavo in gita scolastica. Capii che alcuni miei studenti avevano quella spazzatura e la requisii, con il bel risultato di essere incolpato dai colleghi “per aver violato la privacy dei ragazzi”. Al ritorno dalla gita consegnai al preside il pezzetto di hashish e non seppi che fine poi fece. Nessun provvedimento disciplinare fu applicato a quei poveri sciagurati. Questa è la scuola italiana!
Di acqua ne è passata sotto i ponti e la dissoluzione ha preso dimensioni e profondità sempre maggiori. Oggi che la droga sta per diventare un diritto civile fondamentale per legge, grazie all’abile lavoro di decenni dei radicali e a complicità di ogni parte politica, la nuova frontiera della putrefazione sociale e morale – in realtà ormai lasciata alle spalle – riguarda l’essere umano nella sua dimensione più intima. La rivoluzione attiene la sessualità che è diventata transeunte, opinabile, modificabile, inventabile a proprio capriccio. Noi cristiani sappiamo quale sia la causa e il fine di questa rivoluzione che si riempie la bocca di grandi ideali di tolleranza per creare però generazioni di disadattati, infelici, depressi, suicidi e forse poi di dannati. Il progetto di questo abominio è nel profondo dell’inferno, laddove si complotta da prima della creazione del mondo per spodestare il Cielo.
Poiché tuttavia il Cielo non può essere spodestato, al cornuto e ai suoi maledetti seguaci non resta che accanirsi contro l’immagine di Dio sulla terra, cioè l’uomo. La teologia tradizionale definisce il demonio come scimmia Dei, la scimmia di Dio, colui che scimmiotta Dio senza tuttavia poterlo eguagliare, ma riuscendo solo ridicolo. Non potendo competere in altezza con Dio, si dedica alla bassezza. L’inversione diventa così la cifra di satana che oggi vediamo trionfante. Gli invertiti sono portati in palmo di mano e diventano fanatici e violenti persecutori dei sani, il male diventa prima un diritto (droga, aborto, omosessualità, transessualità, pedofilia, perversioni) poi un dovere (divieto dell’obiezione di coscienza per medici e docenti, divieto di esprimere quale sia il progetto di Dio in accordo con la Bibbia, carcere per i disobbedienti, rieducazione, come già avvie­ne nei Paesi più avanzati dell’Europa e come si progetta di fare, con il disegno di legge Scalfarotto in Italia). Il peccato diventa virtù e la virtù diventa peccato. In quest’ottica la pratica omosessuale – in particolare quella maschile che è la più diffusa – è quasi diventata la condizione del successo mondano.
Non si può tuttavia comprendere appieno perché l’asse portante della rivoluzione si sia spostato dall’economia al sesso, in particolare quello invertito, se non si fa una lettura teologica della sua pratica. Capisco che solo pensare agli atti sodomitici ingeneri schifo nelle persone sane, ma lo studio presente in questo libro deve andare a fondo col bisturi anche nel peggio per trovare una via di salvezza da questa corruzione.
Ogni atto umano ha un significato, e in particolare lo hanno gli atti che riguardano la sfera più intima. L’atto coniugale è un Sacramento all’interno del Matrimonio, e lo è, in grado minore, anche su un piano naturale (in teologia tradizionale si parla di Matrimonio naturale, che ha i suoi doveri e diritti in modo analogo anche se non perfettamente coincidente con il Matrimonio come Sacramento). Questo Sacramento parla dell’unione sponsale di Cristo e la Chiesa e della sua costante apertura alla Vita, sia natu­rale che soprannaturale, con la generazione e rigenerazione di nuovi figli di Dio. L’unione di Cristo alla Chiesa è sempre feconda, genera figli, non è mai fine a se stessa. Così – come insegna l’Enciclica Humanae Vitae – l’uomo non può e non deve spezzare quel legame che c’è fra dimensione unitiva e procreativa insite nella copula. Quest’unione inscindibile, come inscindibile è il legame matrimoniale, rende vivo e gioioso il rapporto d’amore, lo arricchisce, lo fa sempre nuovo e latore di grandi beni per gli sposi e per la società. La spaccatura di quest’unione produce morte, corruzione, putrefazione. Perché la morte è lo spezzarsi dei legami.
Tutta questa visione positiva e vitale dell’amore coniugale viene invertita nel processo storico di satanizzazione del mondo che cerca di scimmiottare la cristificazione o deificazione dell’umanità del progetto redentivo. L’unione vitale e feconda diventa congiungimento artificiale e sterile. Non è vera unione, ma solo sordido congiungimento nel quale non c’è comunione. Non c’è infatti rapporto vis a vis nell’atto sodomitico, ma un uso more ferino dell’altro. Non c’è parità e complementarietà. L’altro è solo uno strumento di piacere come potrebbe esserlo – e lo diventa – chiunque o qualunque cosa o animale siano capaci di dar piacere. Ma non è questo il peggio. Il peggio è il senso teologico e metafisico, oltre che psicologico dell’atto sodomitico.
Mentre l’atto coniugale è unione sacra, l’atto naturale che è più vicino, sul piano naturale, al divino, perché in esso l’uomo è potenzialmente procreatore e lo è nell’atto dell’amore, nell’atto sodomitico la gestualità è e significa la massima profanazione di quanto ci sia di più sacro, cioè dello sperma che unendosi all’ovulo genera vita umana. Lo sperma procreatore viene iniettato e unito alle feci, alla deiezione, alla materia impura per definizione. L’inizio della vita, ciò che è prezioso e santo, è unito forzosamente a ciò che è lo scarto della vita, all’impuro, al repellente. L’atto unitivo diventa così atto disgiuntivo, passando da datore di vita a datore di morte, da santo a profanatore, da bello a schifoso, da pulito a sporco, da divino a satanico. La simbologia qui è davvero parasacramentale, e da qui il titolo di questo libro.
Si capisce quindi perché la sodomia è il vero e proprio sacramento invertito del diavolo, la celebrazione della falsa vittoria del male sul bene, dell’uso strumentale sull’amore.Ora si capisce quindi perché, in un crescendo spasmodico e forsennato, l’ideologia omosessuale voglia imporsi con la violenza al modo intero, perché le sette che governano il modo esigano nei propri riti la sodomia, che non disdegna le più orripilanti degenerazioni con uomini, donne, bambini, oggetti e animali, ma che sempre preferisce la sodomia maschile perché è quella che realizza più in pienezza simbolicamente l’inversione come criterio di rigenerazione, o meglio, di degenerazione del mondo. Nell’atto sodomitico l’uomo distrugge la vita, distrugge l’atto con quale ha ricevuto la vita, nega la dimensione femminile, la umilia ponendola su di un piano inferiore alle feci, compie un gesto nel quale cerca simbolicamente, anche se inconsapevolmente, di suicidarsi, di negare cioè la fonte vitale da cui egli stesso proviene.
Finché non si capisce questo che potremmo definire “teologia dell’omosessualità” si rischierà di lasciarsi ingannare dalla martellante ideologia di genere che ha contaminato anche parte di uomini di Chiesa. Non solo perché – come lo stesso Papa Francesco ha detto – nella Chiesa c’è operante una lobby gay, ma soprattutto perché per ignoranza o superficialità il buonismo, la misericordia da saldi di fine stagione viene spacciata a basso prezzo anche dai pulpiti. Quando infatti si confonde la misericordia per il peccatore con la misericordia per il peccato si tradisce nella maniera più orrida e profanatrice l’atto d’amore più grande di Dio, cioè la Redenzione. La Croce salvifica di Cristo, la sua Divina Misericordia divengono il pretesto per accettare e propagare il peccato. Questo è esattamente il capolavoro del demonio! La Chiesa diventa così da luogo di salvezza luogo di perdizione. Perché la caricatura dell’amore di Dio si configura infatti come il secondo e il quinto peccato contro lo Spirito Santo, cioè la presunzione di salvarsi senza merito e l’ostinazione nel peccato, come insegna l’insuperato Catechismo della Dottrina Cristiana di Papa san Pio X.
La medicina per curare la peste sodomitica, vero e proprio sacramento del diavolo, è sì la Divina Misericordia, che è però innanzitutto chiarezza dottrinale per non rischiare di lasciare i peccatori nella morte del peccato con dottrine ambigue quando non false. Il presente volume ha le caratteristiche per fare chiarezza e offrire la verità in questa nostra epoca così refrattaria alla verità ma proprio perciò così bisognosa di essa. La Misericordia di Dio è quella che dice, al peccatore pentito e perdonato: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio” (Gv 5,14) e “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Delle altre “misericordie” il Vangelo ci insegna a diffidare.


martedì 14 gennaio 2014

Gli portavano tutti i malati e gli indemoniati.... scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

Mercoledì della I settimana del Tempo Ordinario



I quattro Evangelisti sono concordi nell’attestare
che la liberazione da malattie e infermità di ogni genere costituì,
insieme con la predicazione,
la principale attività di Gesù nella sua vita pubblica.
In effetti, le malattie sono un segno
dell’azione del Male nel mondo e nell’uomo,
mentre le guarigioni dimostrano che il Regno di Dio,
Dio stesso è vicino.
Gesù Cristo è venuto a sconfiggere il Male alla radice,
e le guarigioni sono un anticipo della sua vittoria,
ottenuta con la sua Morte e Risurrezione.

Benedetto XVI

DAL VANGELO SECONDO MARCO 1,29-39.



E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. 


Il commento


A letto con la febbre si ha bisogno di tutto e nulla si può fare. La spossatezza toglie anche la voglia di leggere, di guardare la televisione, di parlare. La suocera di Pietro è immagine di quella febbre dello spirito che spesso ci assale e ci paralizza, impedendoci di servire, di amare. E' la febbre di questo tempo in preda a depressioni, anoressie e bulimie. E' la febbre dell'alcool, della droga, di tutti quei giacigli nei quali ci rifugiamo per sfuggire alle incombenze serie della vita, quelle che ci chiamano a donare la vita. La febbre è sintomo di una malattia più profonda, un'infezione che corrode il cuore. Per quanto si cerchi di riposare, le fughe si risolvono sempre in fallimenti, e la febbre aumenta. Ma c'è la Chiesa, che, come una madre premurosa si preoccupa di noi, e "ne parla con il suo Signore". E' questa la prima missione della Chiesa: pregare, implorare, affidare. Come diceva Santa Caterina da Siena, spesso accade che sia molto più fecondo parlare a Dio degli uomini che non di Dio agli uomini. Ed è una parola anche per i genitori, per i catechisti, per i presbiteri. E' il criterio che appare nel Vangelo, dove Gesù è solo, nella notte, in preghiera. E' questo il grembo da cui nasce ogni missione. Parlare al Padre del proprio figlio in difficoltà, della moglie in crisi, del marito depresso, di chiunque abbiamo a cuore ed è in preda alla febbre, di ogni relazione, del lavoro, del matrimonio, del fidanzamento, dell'amicizia. Senza questa preghiera, senza questo parlare a Dio, la Chiesa e ciascuno di noi sbaglierà tempi e parole, rinchiuderà ogni opera nell'angusto confine della carne e dei suoi criteri, e sarà fallimento. Si tratta di inginocchiarsi e aprire il cuore al Signore, far nomi e cognomi, e implorare l'aiuto, secondo la sua volontà. La Chiesa – identificata in Giacomo e Giovanni - accompagna Cristo al capezzale della suocera di Pietro, e lascia che Lui compia la volontà del Padre. Non si tratta solo di guarire dalla febbre, un'aspirina e via, come non basta cucire una toppa su un vestito vecchio. Gesù infonde il vino nuovo della vita, la sua vittoria sulla malizia che alberga nel cuore, il peccato di cui la febbre è solo un sintomo. Gesù sa guardare oltre le apparenze, e la sua diagnosi non fallisce. La suocera di Pietro è afflitta da un morbo maligno di morte, "giace a letto", e il verbo greco è lo stesso che definisce il giacere nella tomba. Per questo Gesù prende per mano la donna e "la solleva", la risuscita, ancora secondo l’originale greco. E il frutto sarà il servizio, la diaconia, l'amore gratuito, l'offerta della propria vita: “Con la sua mano prese la mano di lei. O beata amicizia, o dolcissimo bacio! La fece alzare dopo averla presa per mano: la mano di lui guarì la mano di lei. La prese per mano come medico, sentì le sue vene, costatò la violenza della febbre, egli che è medico e medicina. Gesù tocca, e la febbre fugge. Tocchi anche le nostre mani, per rendere pure le nostre opera” (S. Girolamo). 
Il miracolo che ci presenta il Vangelo, molto più di una semplice guarigione, consiste in un cambio di natura: Gesù che si accosta a ciascuno di noi, perché non viviamo più per noi stessi: “le guarigioni sono segni: guidano verso il messaggio di Cristo, ci guidano verso Dio e ci fanno capire che la vera e più profonda malattia dell’uomo è l’assenza di Dio, della fonte di verità e di amore. E solo la riconciliazione con Dio può donarci la vera guarigione, la vera vita, perché una vita senza amore e senza verità non sarebbe vita” (Benedetto XVI). Una vita spesa per "servire", innanzitutto accogliendo Cristo e la sua Chiesa. E' sorprendente: il primo servizio è accogliere l'amore, perché per amare occorre lasciarsi amare. Altro che moralismi e sentimentalismi, scelte e decisioni. All'origine della missione della Chiesa vi è l'esperienza della suocera di Pietro, ovvero l'essere stati guariti gratuitamente, senza neanche aver chiesto nulla. Solo alloro si potrà accogliere questo amore infinito fatto carne in persone concrete, nella comunità. E solo dopo, come un frutto maturo, ci si potrà mettere a servizio di Cristo e della Chiesa laddove serve. Proprio per annunciare a tutti la riconciliazione con il Padre, Gesù non si ferma laddove opera i miracoli e gli esorcismi, nel luogo dove tutti vengono a cercarlo, al contrario di ciò che cerchiamo e desideriamo: essere acclamati, amati, apprezzati per quanto facciamo per gli altri. Madre, padre, marito, moglie, fidanzato, amico, spesso ci spendiamo sino all'inverosimile per loro, ma è solo per appropriarci dell'altro, per carpirne la gratitudine, stringendo al loro collo un laccio con soave perversione. Gesù invece sfugge alla carne, non cerca la gloria dagli uomini, si spende perché ogni uomo, anche il più grande peccatore, possa essere glorificato davanti al Padre, perdonato e ricreato nel suo amore. La Chiesa non è un’agenzia che dispensa guarigioni, un negozio con orari di apertura e chiusura. Inviata da Gesù, ne segue le “tracce” che si inoltrano nel “buio” del mondo per attirare ogni uomo “sul far del mattino”, nell’alba della sua risurrezione. La Chiesa vive unita con Lui sola a solo con il Padre, nell’intercessione instancabile con cui offre se stessa per riconciliare in Cristo ogni peccatore. Gesù, infatti, è uscito-venuto dal Padre per compiere una missione, e la sua vita non gli appartiene; essa è una porta aperta come quella della casa di Pietro, immagine della Chiesa. Tutta la città può entrare attraverso di Lui, perché è l'unico pastore che conosce sino in fondo le sue pecore. Nella notte della morte che si stende sulla vita degli uomini Gesù è lì, ad annunciare in ogni “villaggio” l'amore di Dio, più forte del peccato e della morte. Gesù schiude anche oggi la porta della vita, della misericordia e dell'amore; attraverso di essa possiamo anche noi entrare di nuovo nell'intimità di Dio, essergli familiari, figli, per vivere e camminare nel servizio del Vangelo, che è l'amore gratuito per il quale siamo stati creati.




Benedetto XVI. Guarì molti… e scacciò molti demoni

Raniero Cantalamessa. Guarì molti malati

San Girolamo. Ora la suocera di Simone stava a letto con la febbre

Cromazio di Aquileia. E venuto nella casa di Pietro, lo serviva

S. Giovanni Crisostomo. Immediatamente la febbre la lasciò

Guigo il Certosino. Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava

S. Cipriano. Al mattino si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto

Cafarnao, il nome

Cafarnao. Il villaggio, la storia, gli abitanti, la sinagoga, l'Insula sacra e la Domus-ecclesia

CAFARNAO E I VANGELI

Cafarnao, gli scavi archeologici

Cafarnao, immagini


«Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!».

"Che c'entri con noi, Gesù Nazareno?"


 
L'ANNUNCIO 
Quelle dei demoni sono parole e pensieri nostri: crediamo di ribellarci all'ingiustizia, ai fatti sgradevoli e contrari, alle persone che ci molestano, ma la verità è che resistiamo al potere del Signore, perché non lo riconosciamo all’opera nella nostra vita. Il demonio, infatti, si nasconde astutamente tra le pieghe degli eventi e di lì lascia scorrere il suo fluido malevolo camuffato nei pensieri e nelle interpretazioni, avvelenando e sporcando tutto, occultandoci la visione di Dio incarnato. Egli è il nemico della Croce, e attira tutti nella stessa inimicizia. E' uno “spirito impuro”, immondo, perché impedisce il culto e la lode che sigillano il compimento della vita, sottraendo la gioia e la gratitudine, la pace e lo zelo, facendoci scorrere dinanzi immagini distorte che occultano l'amore di Dio e ci inducono a rifiutare la nostra storia e a negare la Croce. Il demonio riconosce che Gesù ha l’autorità per “rovinarlo”; proprio la ribellione rivela l’antagonismo con Colui che, a denti stretti, si ammette essere superiore. Ma riconoscere non significa accettare. Il demonio ci ha ingannato così bene da tenerci legati come cani al guinzaglio; non vogliamo che sia distrutto quello che stiamo costruendo, o smascherato quello che abbiamo acquisito, ad esempio i giudizi sulla storia e le persone. Sono anni che giudichiamo il padre, il fratello, la suocera per sentirci al sicuro di fronte all’altro, blindati nelle certezza di essere nel giusto. Su quei giudizi abbiamo fondato anni di atteggiamenti e di relazioni. Quando Gesù appare nella nostra vita, rade al suolo le mura dietro alle quali ci proteggiamo, e non lo possiamo sopportare: dovremmo umiliarci, riconoscere d’essere stati avventati pensando male con superficialità, senza conoscere e amare la storia e il cuore del fratello. Abbiamo guardato all’altro con malizia, e lo abbiamo espulso dall’Inner circle, il cerchio magico dei nostri affetti, perché fuori dal target di venerazione e sottomissione da noi richiesto. Ingannati, abbiamo creduto che il Signore fosse fuori tempo e in anticipo sulla tabella di marcia che abbiamo stabilito a priori per la nostra vita. Per questo interpretiamo come una “rovina” i fatti e le persone che ci fanno presente la Croce. Certo, il carattere del marito o della moglie, la malattia improvvisa, il licenziamento, l’infantilismo del fidanzato che ci lascia senza alcuna ragione, ci “rovinano”. Ma, se guardassimo con gli occhi della fede, ci renderemmo conto che ad andare “in rovina” è il piano demoniaco su di noi, e, ad essere crocifisso, è il nostro uomo vecchio. Oggi giunge a noi Cristo, con la sua Parola ricolma di autorità, così diversa da quella vaporosa e vana dei tanti falsi maestri. Essa è potente perché capace di compiere quello che dice e, con la sapienza della Croce, smaschera la menzogna. Viene a liberarci, “gridando” al nostro cuore di “tacere”, mentre, con le parole della Croce incarnata nelle ore e nelle persone della nostra esistenza, scaccia la mormorazione figlia dell’accusatore, per lasciar parlare in noi lo Spirito Santo. Non è certo senza dolore, come appare nel Vangelo. L'orgoglio, infatti, è un veleno che annichilisce quando muove pensieri e gesti, e “strazia” quando è scacciato dal cuore. Ne siamo talmente succubi che lo difendiamo con le unghie: quanta difficoltà, quanto “strazio” per umiliarsi e chiedere perdono, quando le lebbra sembrano sigillate con il fuoco e pesanti come macigni. Per questo, nel Signore non vi è spazio per il sentimentalismo; per “rovinare” l’opera del demonio non vi è “un prima del tempo”, perché già oggi “il tempo è compiuto”. Non si possono servire due padroni, e dove appare Cristo non vi è posto per satana. Lasciamoci amare allora, perché non è vero che non abbiamo niente a che fare con Lui. Al contrario, ogni secondo, ogni relazione, ogni pensiero e gesto, tutto di noi è stretto in una relazione indissolubile con Lui che ha, da sempre, avuto a che fare con noi in un amore infinito.

giovedì 9 gennaio 2014

Orchi ...

Terra di orchi

by Berlicche
Pensavo agli orchi.
D'accordo, quelli di Tolkien, del Signore degli Anelli e dello Hobbit non esistono veramente. Anche se sono convinto che siano, in una certa maniera, memoria razziale: ricordi tramandati di ere lontane, di mondi più feroci. Il loro archetipo è così potente che è intessuto nelle leggende che ci fanno uomini. Pensavo a loro e mi domandavo: ma un orco può scegliere di essere buono?
Quelli della Terra di Mezzo sono, secondo la mitologia tolkeniana, elfi catturati da Melkor, figura di Lucifero, e plasmati fino ad ottenere esseri abbietti, deformi nel corpo e dello spirito, assoggettati al signore oscuro che tuttavia odiano nel profondo del loro cuore.
Se però gli elfi possono essere anche malvagi e crudeli, come la saga del Silmarillion ci insegna, perché orchi e goblin non potrebbero a loro volta tornare al bene? Rinunciare alla malvagità, volgersi alla bontà?
Ma nella crudele terra di Mordor chi è debole, chi ha moti di bontà, chi si discosta dalla terribile efficienza guerriera ha vita breve. Imprigionato, torturato, ucciso; il popolo degli orchi è forgiato secondo i duri criteri del Potere, per i suoi scopi. Non basta l'inclinazione al bene, ci deve essere anche un luogo, un tempo per esprimerla. Una possibilità; una libertà. E l'idea stessa della verità, del fatto che sia possibile non essere egoisti ma misericordiosi, che si possa amare senza possedere.
Sono cose difficili da imparare se nessuno te le insegna; se non le vedi. Se non c'è qualcuno, qualcuno di diverso, a mostrartelo.
In una terra dove il Potere cerca di modellarti per i suoi fini, prova in tutti i modi a renderti solo, a instillarti l'egoismo, la crudeltà, com'è possibile?
Come si fa, dove il male cerca di creare la sua terra degli orchi?
By Berlicche 

mercoledì 8 gennaio 2014

L'argomento dell'uomo di paglia (chiamato anche straw man argument o straw man fallacy)

Straw Man!

DI ADMIN
Strawman
Che cos’è lo straw man argument” ( o “straw man fallacy”)  andrebbe spiegato ogni giorno perché gli Americani gli hanno dato un nome che da noi non c’è, e perché è un elemento centrale degli inganni dialettici contemporanei, nella politica e nel discorso quotidiano (che inganni ne conoscono moltissimi, ci vorrebbe un buon manuale).
Uno “straw man argument” è una tesi che una parte in una discussione attribuisce all’altra parte, malgrado quest’ultima non l’abbia sostenuta: la tesi è una forzatura volutamente e palesemente assurda, sciocca o falsa, in modo da essere facilmente contraddetta. Esempio: io dico che bisogna abolire la caccia e tu mi rispondi che sono un pazzo perché se i bambini non mangiano mai carne non crescono sani. Io non ho mai sostenuto che i bambini non debbano mangiare la carne, ma tu mi hai attribuito questa opinione e io ora dovrò affannarmi a dire che non è vero, ripartendo da un passo indietro.
Questo trucco è abusatissimo, come dicevo e come avrete presente, e funziona sempre: costringe l’ingannato a una smentita che suona sempre debole, o irritata (e lì parte un altro trucco da bambini: “ah, ti irriti, allora è vero!”).
Che gli abbiano dato un nome è una cosa buona perché permette, una volta che sia noto e condiviso, di definirlo e smontarlo immediatamente: “straw man!“.
fonte: wittgenstein

PS Un esempio di straw man argument  molto conosciuto su questo blog è quello usato recentemente in Spagna  contro “Sposati e sii sottomessa” di Costanza Miriano (ma anche in Italia ad esempio nel libro di Michela Marzano e Loredana Lipperini) accusando l’autrice di incitare la violenza sulle donne; Costanza naturalmente non ha mai scritto o detto neanche una parola che potesse giustificare qualsiasi tipo di violenza  ma (come hanno tentato di fare anche nella famosa puntata de La Zanzara ma su questo punto ai conduttori è andata particolarmente male), lo scopo è di portare la discussione su un terreno minato come quello della violenza domestica e dell’omicidio, ponendo l’interlocutore in una condizione di difficoltà  dovendosi  giustificare per qualcosa di particolarmente odioso che però non è mai stato né detto né pensato. In questo modo si tenta di squalificare la ragionevolezza di tutte le sue altre affermazioni su uomo, donna, complementarietà, matrimonio.

Sul parlare e sul tacere


IL DOVERE DEI PASTORI Sul parlare e il tacere secondo un grande Papa: san Gregorio Magno!


( dalla Regula Pastoralis )
La guida delle anime sia discreta nel suo silenzio e utile con la sua parola affinché non dica ciò che bisogna tacere e non taccia ciò che occorre dire. Giacché come un parlare incauto trascina nell’errore, così un silenzio senza discrezione lascia nell’errore coloro che avrebbero potuto essere ammaestrati.
Infatti, spesso, guide d’anime improvvide e paurose di perdere il favore degli uomini hanno gran timore di dire liberamente la verità; e, secondo la parola della Verità, non servono più alla custodia del gregge con lo zelo dei pastori ma fanno la parte dei mercenari (cf. Gv. 10, 13), poiché, quando si nascondono dietro il silenzio, è come se fuggissero all’arrivo del lupo.
Per questo infatti, per mezzo del profeta, il Signore li rimprovera dicendo: Cani muti che non sanno abbaiare (Is. 56, 10). Per questo ancora, si lamenta dicendo: Non siete saliti contro, non avete opposto un muro in difesa della casa d’Israele, per stare saldi in combattimento nel giorno del Signore (Ez. 13, 5).
Salire contro è contrastare i poteri di questo mondo con libera parola in difesa del gregge; e stare saldi in combattimento nel giorno del Signore è resistere per amore della giustizia agli attacchi dei malvagi. Infatti, che cos’è di diverso, per un Pastore, l’avere temuto di dire la verità dall’avere offerto le spalle col proprio silenzio?
Ma chi si espone in difesa del gregge, oppone ai nemici un muro in difesa della casa di Israele. Perciò di nuovo viene detto al popolo che pecca: I tuoi profeti videro per te cose false e stolte e non ti manifestavano la tua iniquità per spingerti alla penitenza(Lam. 2, 14). È noto che nella lingua sacra spesso vengono chiamati profeti i maestri che, mentre mostrano che le cose presenti passano, insieme rivelano quelle che stanno per venire. Ora, la parola divina rimprovera costoro di vedere cose false, perché mentre temono di scagliarsi contro le colpe, invano blandiscono i peccatori con promesse di sicurezza: essi non svelano le iniquità dei peccatori perché si astengono col silenzio dalle parole di rimprovero. In effetti le parole di correzione sono la chiave che apre, poiché col rimprovero lavano la colpa che, non di rado, la persona stessa che l’ha compiuta ignora.
Perciò Paolo dice: (Il vescovo) sia in grado di esortare nella sana dottrina e di confutare i contraddittori (Tit. 1, 9). Perciò viene detto per mezzo di Malachia: Le labbra del sacerdote custodiscano la scienza e cerchino la legge dalla sua bocca,perché è angelo del Signore degli eserciti (Mal. 2, 7).
Perciò per mezzo di Isaia il Signore ammonisce dicendo: Grida, non cessare, leva la tua voce come una tromba (Is. 58, 1). E invero chiunque si accosta al sacerdozio assume l’ufficio del banditore perché, prima dell’avvento del Giudice che lo segue con terribile aspetto, egli lo preceda col suo grido.
Se dunque il sacerdote non sa predicare, quale sarà il grido di un banditore muto? Ed è perciò che lo Spirito Santo, la prima volta, si posò sui Pastori in forma di lingue (Atti, 2, 3), poiché rende subito capaci di parlare di Lui, coloro che ha riempiti.
Perciò viene ordinato a Mosè che il sommo sacerdote entrando nel tabernacolo si accosti con tintinnio di campanelli, abbia cioè le parole della predicazione, per non andare con un colpevole silenzio incontro al giudizio di colui che lo osserva dall’alto. (…) I campanelli sono inseriti nelle sue vesti, perché insieme al suono della parola, anche le opere stesse del sacerdote proclamino la via della vita.
Ma quando la guida delle anime si prepara a parlare, ponga ogni attenzione e ogni studio a farlo con grande precauzione, perché se si lascia trascinare a un parlare non meditato, i cuori degli ascoltatori non restino colpiti dalla ferita dell’errore; e mentre forse egli desidera di mostrarsi sapiente non spezzi stoltamente la compagine dell’unità.
Perciò infatti la Verità dice: Abbiate sale in voi e abbiate pace tra voi (Mc. 9, 49). Col sale è indicata la sapienza del Verbo. Pertanto chi si sforza di parlare sapientemente, tema molto che il suo discorso non confonda l’unità degli ascoltatori. Perciò Paolo dice: Non sapienti più di quanto è opportuno, ma sapienti nei limiti della sobrietà (Rom. 12, 3). 
Perciò nella veste del sacerdote, secondo la parola divina, ai campanelli si uniscono le melagrane (Es. 28, 34). E che cosa viene designato con le melagrane se non l’unità della fede?
Infatti, come nelle melagrane i molti grani dell’interno sono protetti da un’unica buccia esterna, così l’unità della fede protegge tutti insieme gli innumerevoli popoli che costituiscono la Santa Chiesa e che si distinguono all’interno per la diversità dei meriti. Così, affinché la guida delle anime non si butti a parlare da incauto, come già si è detto, la Verità stessa grida ai suoi discepoli: Abbiate sale in voi e abbiate pace tra voi, come se attraverso la figura della veste del sacerdote dicesse: Aggiungete melagrane ai campanelli affinché, in tutto ciò che dite abbiate a conservare con attenta considerazione l’unità della fede.
Inoltre, le guide delle anime debbono provvedere con sollecita cura, non solo a non fare assolutamente discorsi perversi e falsi, ma a non dire neppure la verità in modo prolisso e disordinato, perché spesso il valore delle cose dette si perde quando viene svigorito, nel cuore di chi ascolta, da una loquacità inconsiderata e inopportuna.
(…)  Perciò anche Paolo, quando esorta il discepolo ad insistere nella predicazione dicendo: Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che giudicherà i vivi e i morti, per il suo avvento e il suo regnopredica la parola, insisti opportunamente, importunamente (2 Tim. 4, 1-2); prima di dire importunamente premise opportunamente, perché è chiaro che nella considerazione di chi ascolta, l’importunità appare in tutta la sua qualità spregevole se non sa esprimersi in modo opportuno.

Dal sito

Il fumo di Satana nella Chiesa

San Pietro nel fumo


Il fumo di Satana nella Chiesa

di Mario Palmaro e Riccardo Cascioli

Quella che segue è una cosa un po' insolita, ma essendo l'argomento centrale per la vita della Chiesa e per il nostro lavoro, ve la proponiamo pur sapendo di chiedere un notevole impegno a chi vorrà arrivare fino in fondo. Mario Palmaro mi ha scritto una lunghissima lettera per esprimere pubblicamente la propria indignazione per la deriva che sta prendendo la Chiesa, soprattutto di fronte all'offensiva omosessualista che sta interessando tutto il mondo. Alla lettera segue una mia risposta, che non vuol chiudere il discorso, ma aprirlo anche ad altri contributi. Palmaro, insieme al suo amico e collega Alessandro Gnocchi, nei mesi scorsi è stato al centro di polemiche per una serie di articoli scritti su Il Foglio, in cui criticava duramente papa Francesco. Lo stesso Papa gli ha poi telefonato a casa per chiedergli notizie della sua salute, avendo saputo che Palmaro è stato colpito da una gravissima malattia. Colgo perciò questa occasione per chiedere a tutti i lettori di pregare per lui.
Caro direttore, 
ho letto il tuo editoriale del 3 gennaio – “Renzi, se questo è il nuovo che avanza” – e non posso che condividere la tua analisi sulla figura del nuovo segretario del Pd, sulla sua furbizia disinvolta, sul suo trasformismo, sulle contraddizioni inevitabili tra il suo dirsi cattolico e il promuovere cose che contrastano non solo con il catechismo ma con la legge naturale. Aggiungo i miei complimenti per quello che fai da tempo con la Bussola su questa frontiera dell’offensiva omosessualista e non voglio rimproverarti nulla.
Però avverto la necessità di scrivere a te e ai lettori ciò che penso. In tutta sincerità: ma il nostro problema è davvero Matteo Renzi? Cioè: noi davvero potevamo aspettarci che uno diventa segretario del Partito democratico, e poi si mette a difendere la famiglia naturale, la vita nascente, a combattere la fecondazione artificiale  e l’aborto, a contrastare l’eutanasia? Ma, scusate lo avete presente l’elettorato del Pd, cattolici da consiglio pastorale, suore e parroci compresi? Secondo voi, quell’elettorato che cosa vuole da Renzi? Ma è ovvio: i matrimoni gay e le adozioni lesbicamente democratiche. Ma, scusate, avete mai ascoltato in pausa pranzo l’impiegato medio che vota a sinistra? Secondo voi, vuole la difesa del matrimonio naturale o vuole le case popolari per i nostri fratelli omosessuali, così orribilmente discriminati? Smettiamola di credere che il problema siano Niki Vendola o i comunisti estremisti brutti e cattivi, e che l’importante è essere moderati: qui i punti di riferimento dell’uomo medio sono Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, le coop e Gino Strada, Enzo Bianchi ed Eugenio Scalfari. Renzi mette dentro nel suo frullatore questi ingredienti essenziali del suo elettorato, miscelandoli con dosi omeopatiche di don Ciotti e don Gallo, e il risultato è il beverone perfetto che tiene insieme la parrocchietta democratica e l’Arcigay. Aspettarsi qualche cosa di diverso da lui sarebbe stupido. 
Lo scandalo, scusate, è un altro. Di fronte a Renzi che fa il Segretario del Pd e strizza l’occhio ai gay, lo scandalo è ascoltare gli esponenti del Nuovo Centro Destra che dicono: “Le unioni civili non sono delle priorità del governo”. Capite bene? Non è che l’NCD salta come una molla e intima: noi queste unioni non le voteremo mai. No: dice che non sono una priorità. Uno incontra Hitler che dice: voglio costruire le camere a gas, e che cosa gli risponde: “Adolf, ma questa non  è una priorità”. Facciamole, facciamole pure, ma con calma. Ho visto al Tg1 il cattolico ministro Lupi che spiegava la faccenda. Volto imbarazzatissimo, l’occhio terrorizzato di uno che pensa (ma posso sbagliarmi): mannaggia, mi tocca parlare di principi non negoziabili e di gay, adesso mi faranno fare la stessa fine di Pietro Barilla, mi toccherà lasciare il mio ministero così strategico e così importante, con il quale posso fare tanto bene al mio Paese. E al mio movimento. Ed eccolo rifugiarsi, Lupi come tutti gli altri cuor di leone del partito di Angiolino e della Roccella, nella famosa faccenda delle priorità: no, le unioni civili non sono una priorità. Palla in calcio d’angolo, poi dopo vediamo. Ovviamente poi c’è il peggio: allo stesso Tg1 c’era Scelta Civica che intimava: dobbiamo difendere i diritti delle persone omosessuali. Scelta civica… credo si tratti di quello stesso partito che fu costruito a furor di Todi 1 e Todi 2, e che i vescovi italiani avevano eretto a nuovo baluardo dei valori non negoziabili dietro la cattolicissima leadership di Mario Monti. Poi c’è il peggio del peggio, e nello stesso Tg c’era una tizia di Forza Italia che trionfante annunciava che loro avrebbero miscelarlo le loro proposte sui diritti dei gay con quelle di Renzi. Ho udito qualche rudimentale rullo di tamburo contro le unioni civili dalle parti della Lega di Salvini, flebilmente da Fratelli d’Italia. Punto.
No, caro direttore, il mio problema non è Matteo Renzi. Il mio problema è la Chiesa cattolica. Il problema è che in questa vicenda, in questo scatenamento planetario della lobby gay, la Chiesa tace. Tace dal Papa fino all’ultimo cappellano di periferia. E se parla, il giorno dopo Padre Lombardi deve rettificare, precisare, chiarire, distinguere. Prego astenersi dal rispolverare lettere e dichiarazioni fatte dal Cardinale Mario Jorge Bergoglio dieci anni fa: se io oggi scopro mio figlio che si droga, cosa gli dico: “vai a rileggerti la dichiarazione congiunta fatta da me e da tua madre sei anni fa in cui ti dicevamo di non drogarti”? O lo prendo di petto e cerco di scuoterlo, qui e ora, meglio che posso? 
Caro direttore, in questa battaglia, dov’è la conferenza episcopale, dove son i vescovi? Silenzio assordante. Anzi, no:  monsignor Domenico Mogavero - niente meno che canonista, vescovo di Mazara del Vallo ed ex sottosegretario della Cei – ha parlato, eccome se ha parlato: “La legge non può ignorare centinaia di migliaia di conviventi: senza creare omologazioni tra coppie di fatto e famiglie, è giusto che anche in Italia vengano riconosciute le unioni di fatto”. Per Mogavero, “lo Stato può e deve tutelare il patto che due conviventi hanno stretto fra loro. Contrasta con la misericordia cristiana e con i diritti universali – osserva – il fatto che i conviventi per la legge non esistano. Oggi, se uno dei due viene ricoverato in ospedale, all’altro viene negato persino di prestare assistenza o di ricevere informazioni mediche, come se si trattasse di una persona estranea”. Conclude il vescovo: “Mi pare legittimo riconoscere diritti come la reversibilità della pensione o il subentro nell’affitto, in virtù della centralità della persona. E’ insostenibile – sottolinea Mogavero – che per la legge il convivente sia un signor Nessuno”. E per la Chiesa, sul cui tema è stata già invitata a riflettere da papa Francesco, in vista del Sinodo straordinario sulla famiglia, “senza equipararle alle coppie sposate, non ci sono ostacoli alle unioni civili”. Amen.
Capisci, caro direttore? Fra poco prenderanno mio figlio di sette anni e a scuola lo metteranno a giocare con i preservativi e i suoi genitali, e la Chiesa di che cosa mi parla? Dei barconi che affondano a Lampedusa, di Gesù che era un profugo, di un oscuro gesuita del ‘600 appena beatificato. No, il mio problema non è Matteo Renzi. Caro direttore, dov’è in questa battaglia l’arcivescovo di Milano Angelo Scola? Fra poco ci impediranno di dire e di scrivere che l’omosessualità è contro natura, e Scola mi parla del meticciato e della necessità di comprendere e valorizzare la cultura Rom. E’ sempre l’arcivescovo di Milano che qualche settimana fa ha invitato nel nostro duomo l’arcivescovo di Vienna Schoenborn: siccome in Austria la Chiesa sta scomparendo, gli hanno chiesto di venire a spiegare ai preti della nostra diocesi come si ottiene tale risultato, qual è il segreto. Del tipo: questo allenatore ha portato la sua squadra alla retrocessione, noi lo mettiamo in cattedra a Coverciano. E guarda la coincidenza, fra le altre cose: Schoenborn – che veste il saio che fu di San Domenco e di Tommaso d’Aquino - è venuto a spiegare ai preti ambrosiani che lui è personalmente intervenuto per proteggere la nomina in un consiglio parrocchiale di due conviventi omosessuali. Li ha incontrati e, dice Shoenborn, “ho visto due giovani puri, anche se la loro convivenza non è ciò che l’ordine della creazione ha previsto”. Ecco, caro direttore, questa è la purezza secondo un principe della Chiesa all’alba del 2014. E il mio problema dovrebbe essere Matteo Renzi e il Pd? Prenderanno mio figlio di sette anni e gli faranno il lavaggio del cervello per fargli intendere che l’omosessualità è normale, e intanto il mio arcivescovo invita in duomo un vescovo che mi insegna che due gay conviventi sono esempi di purezza?
E vado a finire. Matteo Renzi che promuove le unioni civili è il prodotto fisiologico di un Papa che mentre viaggia in aereo si fa intervistare dai giornalisti e dichiara: “Chi sono io per giudicare” eccetera eccetera. Ovviamente, lo so anche io che non c’è perfetta identità fra le due questioni, che il Papa é contrario a queste cose e che certamente ne soffre, e che è animato da buone intenzioni. Però i fatti sono fatti. A fronte di quella frasetta epocale in bocca a un papa – “chi sono per giudicare”  - ovviamente si possono scrivere vagonate di articoli correttivi e riparatori, cosa che le truppe infaticabili di normalisti hanno fatto e stanno facendo da mesi per spiegare che va tutto ben madama la marchesa. Ma tu ed io sappiamo bene, e lo sa chiunque conosca i meccanismi della comunicazione, che quel “chi sono io per giudicare” è una pietra tombale su qualunque combattimento politico e giuridico nel campo del riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Se fossimo nel rugby, ti direi che ha guadagnato in pochi secondi più metri a favore della lobby gay quella frasetta di Papa Francesco, che in decenni di lavoro tutto il movimento omosessualista mondiale. Ti dico anche che vescovi come Mogavero, all’ombra di quella frasetta sul “chi sono io per giudicare” possono costruire impunemente castelli di dissoluzione, e a noi tocca solo tacere.
Intendiamoci: sarebbe da stolti imputare al Papa o alla Chiesa la colpa che gli stati di tutto il mondo stiano normalizzando l’omosessualità: questa marea montante è inarrestabile, non si può fermarla. La ragione è semplice: Londra e Parigi, New York e Roma, Bruxelles e Berlino sono diventate una gigantesca Sodoma e Gomorra. Il punto però è se questo noi lo vogliamo dire e lo vogliamo contrastare e lo vogliamo denunciare, oppure se vogliamo fare i furbi e nasconderci dietro il “chi sono io per giudicare”. Il punto è se anche Sodoma e Gomorra planetari debbano essere trattati con il linguaggio della misericordia e della comprensione. Ma allora, mi chiedo, perché non riservare la stessa misericordia anche ai trafficanti di armi chimiche, agli schiavisti, agli speculatori finanziari? Sono poveri peccatori anche loro? O no? O devo chiedere a Schoenborn di incontrarli a pranzo e di valutare la loro purezza? Caro direttore, la situazione ormai è chiarissima: qualsiasi politico cattolico o intellettuale o giornalista che anche volesse combattere sulla frontiera omosessualista, si troverà infilzato nella schiena dalla mistica della misericordia e del perdono. Siamo tutti totalmente delegittimati, e qualsiasi vescovo, prete, teologo, direttore di settimanale diocesano, politico cattolico-democratico può chiuderci la bocca con quel “chi sono io per giudicare”. Verrebbe impallinato da un Mogavero qualsiasi come un fagiano da allevamento in una battuta di caccia.
Caro direttore, il nostro problema non è Matteo Renzi. Il nostro, il mio problema è che l’altro giorno il Santo Padre ha detto che il Vangelo “non si annuncia a colpi di  bastonate dottrinali, ma con dolcezza.” Anche qui, prego astenersi normalisti e perditempo: lo so anche io che effettivamente il Vangelo si annuncia così -  a parte il fatto che Giovanni il Battista aveva metodi suoi piuttosto bruschi, e nostro Signore lo definisce “il più grande fra i nati di donna” – ma tu sai benissimo che con quella frasetta siamo, tu ed io, tutti infilzati come baccalà. Tu ed io che ci siamo battuti e ci battiamo contro l’aborto legale, contro il divorzio, contro la fivet, contro l’eutanasia, contro le unioni gay, e contro i politici furbi come Matteo Renzi che quella roba la promuovono e la diffondono. Ecco, tu ed io siamo, irrimediabilmente, dei randellatori di dottrina, della gente senza carità, degli eticisti, degli “iteologi” dice qualche giornalista di cielle. E fenomeni come La Bussola e come Il Timone sono esemplari anacronistici di questa mancanza di carità, di questo rigore morale impresentabile. E non basteranno gli sforzi quotidiani e titanici dei normalisti per sottrarre queste testate alla delegittimazione da parte del cattolicesimo ufficiale, perché tutti gli esercizi di equilibrismo e di tenuta dei piedi in due staffe si concludono sempre, prima o poi, con un tragico volo nel vuoto.
Penso anche che il problema – scusa il fatto personale - non siano Gnocchi e Palmaro, brutti sporchi e cattivi, che sul Foglio hanno scritto quello che hanno scritto: io lo riscriverei una, dieci, cento mille volte, perché purtroppo tutto si sta compiendo nel modo peggiore, molto peggiore di quanto noi stessi potessimo prefigurare.
Ecco, caro direttore, perché il mio problema, e il problema tuo, dei cattolici e della gente semplice, non è Matteo Renzi. Il problema è nostra Madre la Chiesa, che ha deciso di mollarci nella giungla del Vietnam: gli elicotteri sono ripartiti e noi siamo rimasti giù, a farci infilzare uno dopo l’altro dai vietcong relativisti. Per me, non mi lamento, per le ragioni che sai. E poi perché preferisco mille volte essere rimasto qui, ad aspettare i vietcong, piuttosto che salire su quegli elicotteri. Magari con la promessa in contropartita di uno strapuntino in qualche consulta clericale tipo Scienza e Vita, o con l’illusione di tessere la tela dentro nel palazzo del potere ufficiale insieme a tutti gli altri movimenti ecclesiali. O con la pazza idea – scritta nero su bianco - che, sì, Gnocchi e Palmaro magari c’hanno ragione ma non dovevano dirlo, perché certe verità non vanno dette, anzi vanno addirittura negate pubblicamente per confondere il nemico.
No, io non mi lamento per me. Mi rimane però il problema di quel mio figlio di sette anni e di altri tre già più grandi, ai quali io non voglio e non posso dare come risposta i barconi che affondano a Lampedusa, i gay esempio di purezza del cardinale Shoenborn, il meticciato e l’elogio della cultura rom del cardinale Scola, il disprezzo per le randellate dottrinali secondo Papa Francesco, Mogavero che fa l’elogio delle unioni civili. A questi figli non posso contare la favola che il problema si chiama Matteo Renzi. Che per lui, fra l’altro, bastano dieci minuti ben fatti di Crozza.
Caro direttore, caro Riccardo, perché mai ti scrivo tutte queste cose? Perché questa notte non ci ho dormito. E perché io voglio capire – e lo chiedo ai lettori della Bussola - che cosa deve ancora accadere in questa Chiesa perché i cattolici si alzino, una buona volta, in piedi. Si alzino in piedi e si mettano a gridare dai tetti tutta la loro indignazione. Attenzione: io mi rivolgo ai singoli cattolici. Non alle associazioni, alle conventicole, ai movimenti, alle sette che da anni stanno cercando di amministrare conto terzi i cervelli dei fedeli, dettando la linea agli adepti. Che mi sembrano messi tutti sotto tutela come dei minus habens, eterodiretti da figure più o meno carismatiche e più o meno affidabili. No, no: qui io faccio appello alle coscienze dei singoli, al loro cuore, alla loro fede, alla loro virilità. Prima che sia troppo tardi.
Questo ti dovevo, carissimo Riccardo. Questo dovevo a tutti quelli che mi conoscono e hanno ancora un po’ di stima per me e per quello che ho rappresentato, chiedendoti scusa per aver abusato della pazienza tua e dei lettori.
Mario Palmaro

Caro Mario,
ti ringrazio di questa lettera, che pubblico volentieri malgrado tu avessi qualche dubbio, anzitutto perché sei un amico che stimo e, secondo, perché mi permette di fare chiarezza sulle questioni di fondo che poni e che sono centrali anche per la missione de La Nuova BQ.
Preciso subito due aspetti per me secondari, per poi passare al nodo della questione. Primo: non ho mai detto che noi abbiamo un problema Renzi, al massimo Renzi sarà un problema per chi lo vota. Se ho scritto di Renzi è per due motivi: siamo un quotidiano e seguiamo le notizie giorno per giorno, non c’è dubbio che in questi giorni le proposte politiche del leader Pd siano la principale notizia politica; inoltre molti cattolici sono affascinati da questa figura emergente, ed era bene puntualizzare che per quello che ci sta a cuore non c’è proprio nulla di nuovo nel suo programma, rispetto ai classici temi della sinistra. E, come già detto chiaramente, i princìpi non negoziabili sono parte del Magistero della Chiesa e non sono soggetti a mode pastorali.
Seconda questione: non credo sia corretto fare di ogni erba un fascio per quel che riguarda sia i politici sia i vescovi. Se la legge sull’omofobia è stata frenata è anche perché alcuni deputati e senatori del centro-destra si sono spesi senza riserve. Questo mi sembra giusto riconoscerlo, così come si nota che tanti politici che ci tengono a definirsi cattolici lavorano per il “nemico”. Inoltre sulle proposte di Renzi c’è anche chi dal Nuovo Centro Destra ha detto parole chiare. Poi vedremo a conti fatti a cosa sarà stata data la priorità. Anche il panorama dei vescovi non è tutto uguale: senza fare nomi, sappiamo che alcuni vescovi italiani in questi giorni hanno detto parole chiare su unioni civili e unioni tra persone dello stesso sesso, anche se la stragrande maggioranza di loro ignora la questione e diversi altri esprimono posizioni in aperto contrasto col Magistero, come del resto ieri non abbiamo mancato di rilevare. 
Parlando di vescovi, entriamo però subito nella vera questione che la tua lettera pone, ovvero la Chiesa. Una Chiesa ormai in ritirata davanti all’ideologia mondana, di cui questa ondata omosessualista è l’aspetto oggi più eclatante e invasivo; una Chiesa che parla di altro mentre si sta distruggendo l’uomo nella sua essenza, l’essere fatto a immagine e somiglianza di Dio. Il vero nemico è dentro, tu dici, la Chiesa trema alle fondamenta; e tale pensiero diventa insopportabile pensando al futuro dei tuoi figli.
Ci sono molte cose vere in ciò che dici, caro Mario, e sai che anche La Bussola non è tenera con certi personaggi e certe idee. Ma credo anche che alla tua descrizione manchi una parte, quella più importante. Ovvero la certezza che a guidare la Chiesa è Cristo, che la Chiesa non è opera di uomini anche se l’opera degli uomini è indispensabile. Solo questa certezza ci rende liberi e lieti pur davanti ai problemi enormi che ci sovrastano, solo questa convinzione vissuta ci dà la forza di sostenere una battaglia impari dove il fuoco amico è diventato più pericoloso di quello nemico.
Del resto che nella Chiesa le cose vadano a rovescio non lo scopriamo certo noi. Ad affermarlo con molta chiarezza fu Paolo VI in quella famosa omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo del 1972: «Da qualche fessura il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio… Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio». E qualche anno dopo - settembre 1977, pochi mesi prima di morire – al suo amico Jean Guitton aggiungeva: «Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico». 
Ma Paolo VI non finisce qui, in questa descrizione scoraggiante. Nel prevedere che questo «pensiero non cattolico» nella Chiesa diventi maggioritario, aggiunge però: «Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia».
Il pensiero della Chiesa è quello del Magistero, è quello del Catechismo, non importa quanti continueranno a seguirlo. A noi è chiesto soltanto questo. Non importa se gli elicotteri sono partiti e ci hanno lasciati lì in balia dei vietcong, per stare alla tua metafora, noi sappiamo solo che dobbiamo fare bene il lavoro a cui siamo stati chiamati perché è a Lui che alla fine – prima o dopo – dovremo rendere conto. Come diceva Benedetto XVI nell’enciclica Spe Salvi il pensiero del Giudizio Finale dovrebbe sempre accompagnarci, non per metterci paura ma per sostenerci e consolarci. 
Non esiste un popolo cattolico chiamato a ribellarsi contro i suoi governanti indegni – e dopo la ribellione cosa si fa? –, esiste una sola Chiesa fatta di peccatori e traditori ma resa santa dalla guida di Cristo, e dove tutti - dal Papa all'ultimo dei battezzati - sono chiamati alla conversione.
E la Chiesa è tale in quanto unita intorno al Papa. Certo, si può anche sentire di non avere quella sintonia con il Pontefice che sarebbe auspicabile; certo, le scelte pastorali possono anche essere discusse, e si può mostrare perplessità davanti a indirizzi e nomine. Ma sempre avendo ben presente che il Papa non è il presidente della Repubblica, rappresenta Cristo ed è per questo che lo seguiamo. L’unità della Chiesa è il bene supremo, e l’unità si fa intorno al Papa, che è infallibile nel definire la verità rivelata: «Il Papa non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio», diceva il Catechismo di San Pio X, e questo è anzitutto quello che conta. La storia della Chiesa ci insegna che nei secoli sono stati in tanti ad avere ragione contro la mondanità di vescovi e papi (certi atteggiamenti non sono nati oggi), ma chi ha privilegiato le proprie ragioni rispetto all’unità ha solo provocato disastri, si è perso e ha fatto perdere molti altri. Chi invece si è sacrificato per l’unità della Chiesa, ha trovato poi valorizzate anche le sue ragioni.
Nelle prossime settimane avremo modo di tornare su alcuni aspetti dell’attuale pontificato, però è anzitutto importante evitare di giudicarlo dagli articoli di Repubblica, Corriere, Avvenire e così via. Lo so anch’io che quello che passa nell’opinione pubblica sono i titoli dei giornali mentre i discorsi, le omelie, i documenti non li legge nessuno (o quasi), però credo che il nostro sforzo sia anzitutto quello di presentare con chiarezza i contenuti veri dei suoi interventi. E’ quello che La Nuova BQ cerca di fare sistematicamente. Poi si potrà discutere di un passaggio o di una affermazione, si potrà anche esprimere perplessità su certi contenuti, ma almeno che sia su ciò che il Papa ha veramente detto e non su quello che altri decidono di fargli dire. 
Caro Mario,
possiamo ben convenire sul fatto che la situazione della Chiesa è drammatica e le cose volgono al peggio, ma la certezza di cui sopra fa sì che l’arma principale per “reagire” non sia quella della pubblica indignazione, quanto quella della preghiera e della penitenza. Come disse Benedetto XVI nel famoso discorso al mondo della cultura francese nel 2008, parlando dell’esperienza del monachesimo benedettino, «nella confusione dei tempi» l’unico obiettivo deve essere «quaerere Deum, cercare Dio». Tutto il resto ci verrà dato di conseguenza.
Riccardo Cascioli

La nuova bq